Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

Pagine

28.2.11

Una notte e un berretto

C’era un tempo una storia piccola e leggera, trasportata dal vento e dalle ali di qualche cinciallegra diretta nella stessa direzione della storiella: un balconcino, che si apriva dalla stanza di un bimbo non ancora addormentato e in attesa della sua favola della buona notte… ascolta, bimbo caro…
Era una limpida mattinata di primavera, la valle si stava ancora svegliando sotto i raggi del primo sole. Il tepore di primo mattino riscaldava i piccoli fili d’erba, infreddoliti dalle goccioline di rugiada della notte. I ranuncoli stendevano le loro fogliolette su cui le insonnolite farfalle aprivano le loro ali variopinte, dopo una lunga notte di riposo. Tutto, piano piano, salutava il nuovo giorno che già cresceva nel limpido cielo azzurro.

L’angusta valle s’inerpicava su vecchie montagne, le cui vette erano appena impolverate di soffice neve. I fianchi delle montagne, spruzzati qua e là di casine, verdeggiavano di Primavera; i profumi di erbe aromatiche, trascinati da un leggero venticello, s’intrecciavano con gustosi sapori: patate appena scottate nell’olio sulle nere stufe di ghisa, bricchi di latte spumeggianti, caldi cornetti appena sfornati e  tanto pane croccante spalmato di burro e morbide marmellate… nelle casine le colazioni erano già in tavola. Il ballo indaffarato del vento portava i profumi di ginepro sui focolari, volava verso il cielo in vorticosi passi fino alle stelle, che s’intravedevano ancora nel chiarore del mattino.
Proprio da queste parti, raggiunto il paese sulla costa della montagna, la strada fangosa portava alla casetta del Sig. Boscofruttoso. Dalla stradina si poteva scorgere una casa in pietra, sistemata sulla collina più verde. Le sue finestrelle erano accese di piccole fiammelle rosse che brillavano con calore. C’erano anche altre costruzioni nella radura: una chiesina, ricavata dalla vecchia stalla e laggiù infondo, la stalla nuova, l’orgoglio dei Sig. Boscofruttoso! La piccola famigliola viveva da generazioni in quel luogo incantato e sembrava che ormai non l’avrebbero mai più abbandonato.
Il Sig. Boscofruttoso era un ometto cicciotto, con grandi baffoni bianchi e un paio di occhiali, con i quali osservava i più piccoli dettagli dei fiori e delle piante. Portava sempre il cappello, qualcuno in paese, diceva perché era pelato!! Chissà! Sua moglie, una signora esile e sempre ordinatissima, curava la casetta e la chiesina, cercando sempre di accontentare la vecchia nonna che viveva con loro e che, beh, nonostante i suoi capelli grigi, aveva ancora il suo caratterino! Nella famigliola c’era poi Chicco, un bimbetto vivace, dai capelli foltissimi e neri come la notte. Sempre a caccia di guai, impegnava i suoi genitori da mattina a sera, anche se la maggior parte delle sue giornate, le trascorreva galoppando per i prati con Martino, il suo cavallo. I due erano davvero inseparabili, non passava pomeriggio, in cui Chicco non stava con Martino e l’animale sembrava divertirsi quanto il suo padroncino.
Ma ecco aprirsi la porticina della stalla, un omettino, in salopette blu infilata in grandi stivaloni verdi, con un grosso cappello in testa, si dirigeva svelto verso la casettina. In una mano stringeva un secchiellaccio in latta, incrostato di giallo all’interno, dove il latte delle caprette sguazzava appena munto. Nell’altro una testa d’aglio, la nonna ci teneva molto, si diceva tenesse lontani gli spiriti maligni. Da una delle finestrelle, la Sig. Boscofruttoso sbatacchiava i tappeti pesanti delle camere da letto: 
- Berto! Ti stiamo aspettando, quanto ci hai messo? - disse la Signora. 
- Arrivo, arrivo… che barba! - rispose il Sig. Boscofruttoso borbottando altro sotto i baffi.
Una volta arrivato, spiegò che aveva trovato tutto molto in disordine nella stalla nuova, le caprette molto agitate, ma inspiegabilmente il latte già munto e i cavalli già al prato. Credendo fosse opera di Chicco, suo padre era già deciso a rimproverarlo, per avergli fatto prendere uno spavento per il disordine, ma soprattutto per essere sgattaiolato fuori casa quando era ancora buio (e senz’aglio, per giunta!). Chicco scese la scala scricchiolante con estrema lentezza, ancora intorpidito dal lungo sonno. 
- Chicco per tutti gli scoiattoli, dove sei stato stanotte? - esclamò il vecchio padre arrabbiato. Chicco, nel suo pigiametto rosso, lo guardò con una faccia senza espressione, sgranando i suoi vispi occhietti verdi, per abituarsi alla luce.
- Io? E dove vuoi che sia andato?A letto! - rispose svogliatamente il bambino. 
- Oh gattaccio!! Racconta queste frottole a qualcun altro! Ho trovato tutto in disordine nella stalla, chi vuoi che sia stato se non tu, monellaccio bugiardello! - sbraitò il Sig. Boscofruttoso. 
- Ma io… - 
- Niente ma! Per punizione, non verrai al mercato con me e la mamma! Ti occuperai invece della povera nonna: le taglierai le unghie! -
Pietro si prese un pezzo di focaccia appena sfornata e se ne tornò arrabbiato in camera sua pensando fra sé: "E’ sempre colpa mia, non ho fatto una mela secca, ma per lui sono stato io! E in più niente mercato, niente bicicletta nuova… in compenso, unghie della nonna: bleah!" Intanto, al piano inferiore tutto fremeva per i preparativi per salire in paese, per la famigliola il Giovedì era giorno di mercato e momento per trovarsi con gli amici in paese e chiacchierare a suon di frittelle e vinello nuovo.
"Non sono stato io, ma tutto è molto strano… devo lasciar andar via mamma e papà, far addormentare la nonnina e poi… scoprire il segreto! Martino sarà con me, mi porterà lui verso l’indizio giusto!”. Detto, fatto! Chicco era già in cammino verso la stalla accompagnato dal suo fedele compagno. Il vecchio portoncino cigolò appena Chicco lo aprì, nella stalla tutto era ormai silenzioso. I due amici cominciarono ad aggirarsi in tutti i cantoni, sgranocchiando insieme la focaccia (il loro pranzo), nulla di sospetto. Caprette brulicanti, attrezzi nell’armadio, balle di fieno impilate… Impilate?? Ma quello era il compito di Chicco!! Il cavallino cominciò a nitrire in direzione delle balle, Chicco gli corse incontro. Stava osservando come fossero ben allacciati i fili, quando la sua attenzione fu catturata da una cuffietta arancione di dimensioni piccolissime…che poteva essere? Martino raspò a terra nitrendo, Chicco allora gli saltò in groppa e già al piccolo galoppo, Martino si diresse verso il Bosco Incantato. Il bosco era chiamato così per la bellezza delle sue piante, rigogliose e piene di fiori e bacche. La nonna, che in quel momento ronfava tranquilla, era convinta che fosse abitato da strane creature, ma nessuno, tranne Chicco, le credeva più e quella cuffietta sembrava darle ragione. I due compagni di avventure erano ansiosi di raggiungere il bosco, ma durante il loro tragitto, Chicco scorse un uccellino impigliato in un cespuglio di rovi. Preoccupato per la creaturina, con un fischio richiamò Martino al passo, che subito ubbidì. Nonostante la fretta, Pietro liberò delicatamente il piccolo pettirosso, che subito squittì contento! Chicco lo abbeverò con la sua borraccia, questo, fatto qualche sorso volò via allegro. Un sincero sorriso sbocciò sulle guanciotte rosse di Chicco e Martino approvò scuotendo su e giu il suo musone. Ma non c’era tempo da perdere, il bosco aspettava e la nonna poteva svegliarsi da un momento all’altro! Chicco s’incamminò alle soglie del bosco, Martino gli andava dietro. Arrivarono fino al centro del bosco, in una piccola radura, nessun rumore. Il muschio incastonato sulle pietre bianche, i tronchi impetuosi e i cespugli di biancospino. Nient’altro. Chicco capì che doveva aspettare la notte, ma come avrebbe fatto ad uscire senza essere visto?! Tornò verso casa un po’ deluso, sistemò Martino nel suo recinto speciale, gli riempì il secchio di acqua fresca e la mangiatoia di croccante avena. Lo salutò facendogli solletico sul nasone e lui lo stropicciò contento.
Una volta in casa, trovò la nonna ancora addormentata, stava prendendo le forbicine per fare il suo dovere…ma, le unghie erano già tagliate!! E spennellate di smalto! Stava cercando di capacitarsi di questo, quando il trillo del telefono giallo svegliò la nonna e attirò Chicco fino al mobiletto dell’ingresso: 
- Pronto, pronto?? Chiccooo?? Sono la mamma tesorino!! - 
E Chicco: - Sì, dimmi mamma, che c’è? -
- Senti, hai tagliato le unghie alla nonna vero, certo che l’hai fatto, ascolta noi ci dobbiamo trattenere qui all’osteria della zia Melalinda, purtroppo è piena di lavoro e da sola proprio non ce la fa! Così staremo qui a dormire!!Non devi aver paura, c’è la nonna e poi sta venendo giù anche la tua cuginetta Mia, si occuperà della cena, quindi comportati bene, ora devo andare! -
- Mamma, io… - e la mamma aveva già riattaccato! Che disdetta,Chicco avrebbe potuto muoversi tranquillo solo con la nonna, ma con MIA!!! Aveva appena posato il telefono, quando bussarono alla porta “Ma non ci credo, è già qui! Addio scampagnata nei boschi!”. Mia entrò, era tutta vestita di azzurro e il suo naso a punta sembrava pizzicare la luna. Posò la borsina con calma, baciò la nonna, che rispose con uno sdentato sorriso, e cominciò ad attaccare la cena… ormai era già tardo pomeriggio!
Si fece sera, la cena fu consumata tranquillamente, Chicco dopo aver aiutato Mia a sistemare e aver accompagnato la nonna fino alla sua camera, cercò lo smalto ovunque, ma non ne trovò nemmeno l’ombra! Infatti in casa non lo usava nessuno, anche se alla nonna sarebbe piaciuto averlo! Chicco decise di andare a letto presto, così anche Mia lo imitò. Non appena sentì che era tutto tranquillo, scese le scale: 
- Beccato! Dove vai? - la luce si accese e Chicco trovò Mia seduta davanti alla porta, in camicia da notte rosa. 
- Oh, senti Mia, è una storia lunga, ma se vieni con me e tieni la bocca chiusa, ti racconterò tutto! - 
La ragazzina, poco più grande di lui, lanciò il suo nasetto in un sì deciso! Partirono insieme e tutto fu spiegato anche a Mia. Mia era in rosa, Chicco aveva il pigiama rosso e Martino la sua cuffia da notte verde (contro il freddo!).
Arrivati al centro del Bosco Incantato, tutto sembrava tranquillo, i tre si tenevano vicini. Chicco teneva in una tasca la cuffia arancio, nell’altra l’aglio, non si poteva mai sapere! Ad un tratto tra le foglie, s’accesero mille e più luci bianche, una melodia leggera s’alzo accompagnata dal vento e milioni di piccoli elfi colorati si avvicinarono ai tre amici. Uno di loro andò verso Chicco, gli chiese di chinarsi e gli sussurrò in un orecchio magiche parole, Chicco gli offrì in cambio la sua cuffia e l’elfo gli lasciò cadere nella mano una minuscola fiala… Chicco chiuse gli occhi, tutto s’offuscò!
Il giorno dopo, Chicco si trovò nel suo letto. Scese in fretta le scale, Mia dormiva nella sua stanza. Guardò fuori, le orecchie di Martino sbucavano dalla porta del suo recinto. Mise una mano in tasca, trovò la piccola fiala. Allora capì. Tutto. Gli elfi, il loro lavoro… e il loro segreto! Da allora ogni viaggiatore trova riparo presso la casina, in cui prima di ripartire fa tesoro del segreto svelato quella notte…



Se anche tu, bimbetto,
degli elfi il segreto vuoi scovare,
là sulla montagna c’è il magico boschetto
non aspettare, corri a guardare!
Nella tua valle fin quasi a una piccola sera,
scopri il mondo in cui la vita è ancor vera!

24.2.11

La camomagica


C’era una volta un vecchio paesello, inerpicato sui pendii di una stretta vallata. Qui abitavano ormai poche persone, perchè chi aveva potuto si era trasferito più a valle dove c’erano tutte le comodità. Di bambini non ne rimanevano molti se non Lea, che abitava con i nonni anziani e tanto affezionati al loro paesino da non volerlo abbandonare. La città era troppo caotica per le loro menti stanche e  anche troppo costosa. Così, soltanto in estate il paesello si ripopolava dei villeggianti dalla città.  Le loro case, rimaste chiuse per tutto l'inverno, si riaprivano al vento frizzante di giugno e Lea, finalmente, rivedeva il suo grande compagno di avventure: Pietro, un bimbetto vivace che trascorreva le vacanze al paesello con la sua famiglia.
Un giorno, i due amici si addentrarono più del solito nel bosco in cui giocavano sempre. In quella parte di foresta, le piante erano più fitte e scure, tanto che del cielo si potevano scorgere pochi ritagli celesti fra i rami degli alberi centenari. Per fortuna il sentiero era l’unica cosa che si continuava a vedere, era come brillante in quell’oscurità. E così, da un passo all’altro l’intreccio di alberi e liane si sbrogliò e davanti agli occhi sgranati dei due bambini si aprì una radura luminosa e verdeggiante. L’erbetta era fresca e morbida e pareva fosse stata appena tagliata. Degli alberoni  si stagliavano verso il cielo, a distanze perfettamente uguali, formando un grande cerchio tutt’intorno. Al centro poi, c’era una sorta di aiuola, piena di fiori variopinti e bacche lucidissime. I due golosoni si avvicinarono subito e mangiucchiando una mora di qua e un lampone di là, ben presto raggiunsero il centro di quella bella aiuola.
- Ehi Lea! Questo spuntino mi ha fatto... yawn... venire sonno.
- Già, sono... yawn... stanchissima anch'io. Forse potremmo riposarci un attimo, yawn, questi fiori sono così... yawn... morbidosi...
Risvegliandosi quasi di soprassalto da quel torpore, Lea e Pietro si ritrovarono insieme, ma la bella aiuola colorata e morbidosa aveva lasciato spazio a un gigantesco lettone soffice, al centro di una cameretta tutta in legno. C’erano scaffali molto più piccoli del letto, in cui erano riposti ordinatamente dei librotti di fiabe della buona notte e carillon per far addormentare i più piccoli . Il pavimento era ricoperto di soffici cuscini tutti sulle gradazioni del blu e dei toni del celeste. Aprendo un armadio i due trovarono molti pigiamini e camicie da notte, con tanto di cuffia e calze abbinate. Sui comodini ai lati del letto c’erano due piccole luci soffuse e diverse tazze di camomilla Dolci Sogni, così riportava l'etichetta della bustina.
Stavano ancora guardandosi in giro disorientati, quando un omino bassetto e rotondo, in camicia da notte fino ai piedoni inciabattati, gli offrì uno sdentato sorriso e disse:
- Benvenuti a Città del sonno!
 Senza aspettare un loro commento, si avviò per un lungo cunicolo scuro, che si intrecciava con molti altri. Pietro e Lea si avviarono subito dietro di lui, per seguirlo, ancora increduli dell'accaduto. Le pareti di quei lunghi corridoi sembravano infinite spirali viola sulle cui pareti erano appesi giganteschi ritratti di persone beatamente addormentate. Lea e Pietro si guardarono senza riuscire a dire nulla. Poi un risolino scappò ad entrambi per la buffa cuffia rossa, in tinta alle ciabattone, della loro stranissima guida.
Dopo aver camminato per ore, o per lo meno a loro così sembrò, sbucarono finalmente alla fine del tunnel e rotolarono giù per uno scivolo che li portò all’interno di un grosso recinto pieno di... pecore! L’omino atterrò con leggerezza sui due piedoni ed esordì:
- Questo è il Reparto di Smistamento Pecore, quelle che voi umani contate per addormentarvi. E’ nostro compito ricontarle e condurle ai Canali Sonnolenti dove, attraverso appositi battelli, possano tornare da voi, in modo che possiate ricominciare a contare.
Dallo scivolo, intanto, continuavano a rotolare nuove pecore, che venivano diligentemente contate da omini praticamente identici al loro accompagnatore . L’omino era molto serio e orgoglioso, perciò i due monelli decisero di stare in silenzio ed ascoltare quieti.
Dopo aver dato un'occhiata nei diversi recinti, l’omino prese tre pecore, ne cavalcò una e invitò i due ragazzi a fare altrettanto: Lea riuscì subito a imitarlo, mentre Pietro ebbe qualche problema in più, ritrovandosi persino con le spalle verso il senso di marcia! La compagnia partì e l’uomo si diresse verso una collina in fondo al prato dei recinti di smistamento. Lassù c’era una specie di stabilimento tutto argentato e dalla ciminiera più alta sbuffavano di tanto in tanto nuvolette simili a quelle dei fumetti. Lasciata la loro cavalcatura (che se ne ritornò sgambettando ai recinti), l’omino li condusse al portone d’ingresso, su cui stava scritto: Fabbrica dei Sogni, ingresso consentito ai felici. L’omino aprì il portone con una tessera magnetica a forma di letto e li fece entrare dicendo:
- Questo è il reparto più importante. In questo luogo fabbrichiamo i sogni. Meglio raggiungere subito la Sala Produzione.
Si avviò a passo svelto, seguito dai due ospiti, per corridoi, dove invece dei tappeti a cui tutti siamo abituati, si dipanavano lunghissime lenzuola, di morbida flanella. Entrarono nella Sala Produzione dove era tutto uno sbuffare di nuvolette.
- Vedete, questa zona è collegata alla Sala Elaborazione, dove vengono elaborati i desideri dei bambini buoni, per poi essere tramutati qui in sogni consumabili la notte stessa, eh eh, siamo molto veloci ed efficienti! Si stava già avviando oltre, quando Pietro notò un grosso tubo nero che vorticava per aria, con un vocino chiese: - Quello che cos’è signore?
- Per tutti i letti a castello! Quello è il tubo della paura! Da lì arrivano con pecore express le paure dei bambini cattivi e noi produciamo con quella macchina nera incubi per educarli! Ma cari, questo non è il vostro caso, dobbiamo correre dal Sindaco!
Uscirono dalla fabbrica e questa volta ad aspettarli c’era un SonnoBus come disse l’omino. Salirono e cercarono i posti migliori, ovviamente quelli in fondo. Appena toccarono i sedili di quella vettura (comodi quanto i loro lettini a casa) caddero in un sonno soave, sognando molti mondi da esplorare e tesori da scoprire e si svegliarono solo con il trillo di una sveglia, l’omino aveva infatti richiesto di fermarsi.
Erano arrivati al Municipio della Città del Sonno. Si trattava di un altissimo grattacielo, ma fatto come un gigantesco letto a castello, di cui davvero non sembrava potersi intravedere la cima. L’omino estrasse dalla sua cuffia da notte una minuscola chiave con tanto di portachiavi tintinnante (ovviamente si trattava di cuscini tintinnanti!). La loro guida osservò la gigantesca sveglia sulla facciata e affermò :
- Lea e Pietro, mi dispiace ma devo rientrare al lavoro, pertanto vi lascio in compagnia del nostro Sindaco, non appena terminato il vostro appuntamento, il Sonnobus sarà qui fuori per riportarvi a casa! Arrivederci! - E così dicendo scomparve in un guizzo.
I due bambini, un po’ intimoriti, entrarono nell’edificio. Al banco informazioni sedeva un omino come la loro guida, che li aveva appena lasciati. Appena li vide, indicò con la sua manina tozza la grande scala a sinistra. I milioni di gradini li condussero esattamente fuori dall’ufficio del Sindaco. Il campanello era una sveglia e per poter suonare era necessario caricarla con l’ora d’arrivo: il meccanismo rispose subito ai comandi e la sveglia trillò allegra. La porta si aprì automaticamente. La stanza, da letto s’intende, era tutta ricoperta da trapunte variopinte, i tendoni erano lenzuola di cotone colorato…ma…nella stanza non c'era nessuno. Fermi immobili al centro della stanza, sentirono provenire dal letto un leggerissimo russare, lento e costante. Si stavano avvicinando al lettone, quando dalle coperte sbucò fuori un bambino, più o meno della loro età:
- Ciao! Io sono il Sindaco della Città del Sonno!
- Coome?! Tu? - Esclamarono Lea e Pietro in corso.
- Vi ho mandati a chiamare perché siete due ragazzetti birichini, ma molto buoni! -
Pietro lo guardò incredulo. L’altro bimbetto gli rispose con un sorriso malandrino, per scomparire in una leggerissima nuvola bianca e ripresentarsi con le fattezze di tutti gli altri omini, anche se molto più vecchio.
- Era per mettervi a vostro agio… Insomma, veniamo a noi, come dicevo, voi siete stati eletti Bambini-Buoni dell’Annosonno, perciò avete diritto al vostro premio…che, ecco, è qui da qualche parte… ah sì, ehm no. Reeella!! Quella pecora mi scompiglia tutto il mio disordine, ah! Eccolo! Ce l'avevo in tasca!
L’ometto gli si avvicinò e gli fece cadere tra le mani una manciata di polverina gialla.
- Questa è Camomagica, scioglietela in acqua bollente e bevetene un sorso ogni volta che vorrete tramutare un vostro sogno in realtà! Ve la metterò nel Magicosaccoletto-non-finisce, in modo da averne una bella scorta!
Il Sindaco li guardò sorridendo,  mostrando una bella boccuccia senza nessun dente. Non aveva ancora finito di sorridere che cadde di nuovo addormentato, la sveglia all’ingresso suonò di nuovo e Lea e Pietro capirono di doversene andare. Uscirono di corsa con i loro Magicisacchiletto-non-finiscono e salirono in fretta sul  SonnoBus che, in un viaggio di sonno, li riportò ai loro letti, dove si risvegliarono stringendo fra le mani un saccoletto, come quelli da campeggio.
Lea e Pietro decisero di non condividere con nessuno il loro meraviglioso segreto, sicuri che non ci sarebbe stata persona in paese che avrebbe potuto credere al loro racconto! Lea, che tanto amava i suoi nonni, decise di regalar loro un po' della sua Camomagica, divertendosi a veder realizzare i sogni dei due anziani. Entrambi si guadagnarono una bella dentiera con cui divorarono subito una stecca di croccante alle mandorle! Poi, il nonno sognò una radio per ascoltare l'opera di tanto in tanto, mentre la nonna optò per un tecnologico robot da cucina, con cui preparò litri di dolcissima marmellata ai mirtilli del bosco.
Nessuno in paese si chiese come certe cose potessero avvenire, i grandi non badano ai cambiamenti o alle piccole sfumature. I bimbi e gli anziani sì, godendo anche dei relativi vantaggi.

23.2.11

Le strade facili: scrittori esordienti e possibilità in Rete - Cultura 2.0

Le strade facili: scrittori esordienti e possibilità in Rete - Cultura 2.0

Ho trovato questo vecchio articolo, ma penso che sia ancora molto attuale. Purtroppo...
Per chi sogna di scrivere il prossimo Harry Potter non è incoraggiante, ma è molto vero! Meglio essere preparati!

22.2.11

I pesci umani

C'era una volta una piccola balenottera, chiamata Smeraldina, perché alla sua nascita le acque profonde dell'oceano si erano tinte di quel colore così delicato e denso. Smeraldina era vivace e giocherellona, amava nuotare a tutta velocità a pelo dell'acqua, spruzzando i gabbiani, per poi rituffarsi nel blu del mare.
Un giorno, durante una delle sue esplorazioni, decise di spingersi un po' più vicino alla costa, per osservare meglio quelle strane creature in grado di restare fuori dall'acqua a lungo, senza doversi mai immergere. Si trattava di pesci molto strani, con lunghe pinne magre, senza branchie e con dei ciuffi di vari colori sulla testa. Le era stato spiegato che erano pesci predatori, chiamati umani, a cui era meglio stare lontani. Smeraldina era però troppo curiosa. Cominciò la sua nuotata verso la costa, lasciandosi accarezzare dall'incessante moto delle onde e facendo qualche piccolo scherzo ai gabbiani, così indaffarati nel cercare dei pesciolini con cui fare colazione. Nuotò veloce, per una lunga distanza, tanto che il sapore del mare si fece diverso e anche il suo colore. Le acque erano più scure e più pesanti, con un sapore amarognolo. La sua mamma le aveva raccontato che era sempre per via dei pesci umani, che producevano sostanze cattive, capaci di far venire mal di pancia terribili! Smeraldina, però, desiderava vedere da vicino i pesci umani, così continuò a procedere, nuotando sempre più in fretta.
Arrivata alla barriera corallina, si fermò e prese un lungo respiro. Scrutò la costa e la sua curiosità fu finalmente premiata. I pesci umani erano riuniti sulla costa, in un piccolo banco. Solitamente, quando un pesce va a galla sta molto tranquillo, ma stranamente i pesci umani si muovevano, alzando le pinne in alto e poi in basso, in alto e in basso ancora.... Che cosa stavano facendo? Uno di loro emetteva forti suoni e gli altri rispondevano con quei gesti. Improvvisamente, tutti cominciarono a nuotare velocemente da una parte e poi dall'altra, come solo aveva visto fare alle sardine. Infine, sparirono dietro a una cunetta di sabbia.
Smeraldina si divertì molto quel giorno e tornata a casa, raccontò alle amiche della sua gita fino alla barriera, per osservare i pesci umani sulla costa, nuotare come sardine impazzite.

20.2.11

Jableti


Jableti è un folletto dispettoso e profondamente antipatico. Il suo passatempo preferito è spaventare i bambini, ancora troppo piccoli per conoscerlo: quatto quatto, si apposta, li scruta e... buhhhh! Io ormai ci sono abituato, perché sono grande, ma scommetto che mio fratello Chelino presto farà la sua conoscenza e ne rimarrà spaventato almeno quanto me la prima volta. Anche di più, anzi, sicuramente.
Jableti vive nel gas di ogni casa. Lui si sposta attrverso i condotti in rame e spunta fuori all'improvviso dai fuochi del fornello! Impossibile non balzare indietro spaventati! Non è tanto per il suo aspetto, ma chi mai si aspetterebbe di trovarsi qualcosa nel fornello?
Si tratta di un omino blu, alto poco più di un chiodo, ma capace di gonfiarsi e diventare grosso come un gatto! E' tutto blu e ha delle ondine di gas che gli escono da quelle sue scarpette magiche, che gli permettono di cambiare forma e dimensione. Il suo naso è lungo e appuntito e in testa porta sempre un cappellaccio, ogni volta diverso. Si ciba di bricioline di pane, ma soprattutto di torta, motivo per cui, spaventare i bimbi mentre fanno merenda è la cosa che lo rende più felice. Ogni volta che una mamma accende il gas per farci scaldare il latte, Jableti sente la fiamma dentro a quella sua zucca vuota e comincia ad agitarsi, tanto che a volte può persino cambiare colore! La sua voglia di scherzi e spaventi diviene irrefrenabile e attiva quindi le sue scarpe magiche, che lo conducono nella malcapitata cucina. Non appena il latte viene servito al figlioletto, Jableti salta fuori e BUHHHH! Latte che schizza, torte volanti, occhi sbarrati e mamme incredule davanti a tanto chiasso per.... cosa poi?
Cari amici miei, sappiate che Jableti è più furbo di quanto si possa immaginare, visto che per i grandi è totalmente invisibile! Non solo, molti di loro, una volta cresciuti dimenticano completamente la sua esistenza e non comprendono gli spaventi improvvisi dei propri bimbetti! Per aiutarvi, voglio lasciarvi questa utile guida:
1) mai toccare le manopole del fornello!
2) mai accendere il fornello!
3) se la mamma deve usare il fornello per cucinare, state ben lontani da esso!
4) diffondete questa storia, per abituare tutti i bambini agli scherzi di Jableti*!

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* Ok, eccezione fatta per fratellini e sorelline capricciosi... NAA! Vale anche per loro!

Eliseo - Qualcosa cambierà

Ebbene sì: l'antipatico e schivo sig. Fanguel aveva una passiona ancora più forte delle sue noiose letture storiche! Branchiano era un appassionato ballerino di Flamenco! La sua passione per questa danza nacque in occasione del suo viaggio a Ronda, quando ancora il papà commerciava fiori in giro per il mondo. Una calda sera di luglio, durante una festa popolare, Branchiano rimase incantato davanti allo spettacolo dei ballerini e delle ballerine di flamenco. Il ritmo incalzante della musica, scandito dalle nacchere e dai passi veloci dei danzatori, i colori sgargianti degli abiti, la precisione e la passione espresse da quei movimenti trasportarono il piccolo Branchiano in un mondo fino ad allora sconosciuto: la danza. Non appena rientrato dal viaggio, il bambinetto cominciò a chiedere incessantemente di poter seguire delle lezioni di danza, ma gli fu sempre vietato. Il padre fu irremovibile. Suo figlio non avrebbe mai danzato, non erano cose da uomini. Così, il sogno di divenire un ballerino fu riposto, per un bel po' di anni, in un cassetto dei sogni. Quando si tratta, però, di desideri così grandi, non è possibile rinunciarvi completamente. Così, quando il sig. Fanguel padre durante un viaggio in Patagonia decise che quella sarebbe divenuta la sua nuova patria, per il giovane Branchiano fu facile convincere la madre a finanziare qualche lezione. Fin da subito, il ragazzino si mostrò predisposto alla danza, grazie a un senso del ritmo invidiabile. Nonostante la sua naturale capacità di apprendimento di passi e figure, restava un grande scoglio da superare: il pubblico. Infatti, al suo primo e anche ultimo saggio, Branchiano fece una gran brutta figura. Ormai quindicenne, risultava ancora troppo gracile e giovane rispetto alle sue compagne, donne appesantite dagli anni e da vite monotone, da cui scappavano grazie alle lezioni di danza del mercoledì sera. Inoltre, il suo corpo esile e il suo incarnato pallido poco si addicevano a quei balli sfrenati e allegri. Forse fu proprio a causa di queste lacune che la sua esibizione si trasformò in un vero e proprio disastro. Poco sicuro della sua interpretazione, Branchiano non azzeccò nemmeno un braceo nè tantomeno uno zapateo, spesso rovinando sui piedi della povera compagna di turno (già doloranti per conto loro!). Tutto questo non bastò, tanto che lo sfortunato Branchiano, inciampando nella gonna di una delle ballerine, finì con la testa fra i faretti frontali del palco, posizione ottimale per vedere le facce del pubblico scoppiare in grasse risate. Da allora, non ci fu più lezione, corso, esibizione che Branchiano volesse affrontare. Continuò a coltivare la propria passione nei 4 metri quadrati della sua stanzetta e mai più volle mostrare le sue doti a qualcuno, nemmeno alla madre, così fiera del figlio ballerino.
Gli spazi angusti erano solo un lontano ricordo ormai, perchè dal secondo piano in su, Branchiano aveva oggi a disposizione un castello intero per volteggi, coreografie e balli sfrenati! La sua ostinazione non gli permise comunque, di accogliere almeno una ballerina, per dare un senso a quei gesti, che con una compagna avrebbero acquistato un significato più completo. Qualcosa era destinato però a cambiare...
Dalla collina le risa non erano ancora terminate, anche se entrambi gli spioni cominciavano a provare una sorta di curiosità verso i movimenti del sig. Fanguel, anche se l'immagine del contabile in calzamaglia rimaneva troppo ridicola per non ridere! L'uomo era tutto vestito di nero, in una tutina aderentissima, con un'ampia fascia in vita di un rosso scarlatto, che evidenziava un corpo magro e non più giovane, ma comunque elastico e in gran forma.
Geppi aveva smesso di ridere ed Eliseo la osservava. Non aveva più quell'aria divertita e monella, ma uno sguardo incuriosito, forse addirittura interessato, preso dall'esibizione di ballo. Eliseo le propose di scendere al castello e provare a suonare di nuovo, ma non ottenne risposta dall'amica, ormai troppo intenta ad osservare il ballerino.
- GEPPI!
- Oh via, te tu m'hai fatto prendere un colpo!
- Per forza, non ci senti più! Vuoi venire a vedere se ci apre o torni a casa?
- No no! Scerto hche vengo!
Riposero tutto negli zaini e s'incamminarono sul sentiero della collina, per scendere fino alla strada verso il castello. Oltrepassarono il ponte dei rospi, che offrirono un concertino di accoglienza, arrivando presto al castello, da dove proveniva una musica spagnoleggiante a tutto volume. Provarono a suonare il campanello del portone principale, nulla. Provarono a quello sul retro, nulla. Eliseo realizzò a quel punto che, forse, il sig. Fanguel non avrebbe potuto sentire il campanello, vista la musica di "sottofondo" alle sue danze. Stava diventando una questione di principio rincontrare quell'uomo e farci quattro chiacchiere... senza contare che Geppi stava divenendo sempre più ansiosa di conoscerlo. Eliseo era indeciso sul da farsi e proprio quando stava per proporre all'amica di lasciar perdere, la musica cessò. Era la loro occasione, si rifiondarono al portone principale, perché non sarebbe stato carino farsi trovare appostati come curiosi all'entrata di servizio, suonarono alla porta e rimasero in attesa. Qualche minuto di silezio. Uno scricchiolio annunciò qualcuno alla finestra del secondo piano. Era il sig. Fanguel, che, inaspettatamente, sorrise ai suoi ospiti dicendo di concedergli qualche minuto. I due paparazzi erano eccitati e sorpresi nel contempo, forse aveva ragione sul conto del contabile!! (Geppi rise a crepapelle per il gioco di parole...)
- Buongiorno signori miei! Bentornato a casa Eliseo, le mura saranno felici di rivederti!
L'accoglienza del sig. Fanguel si rivelò calorosa e simpatica. Preparò del the verde, offrendo della piccola pasticceria ai cereali e uno squisito succo di mela, realizzato con i frutti del melo sul retro, dal sig. Fanguel in persona. Dopo i soliti e dovuti convenevoli, il sig. Fanguel rivolse la fatidica domanda:
- Che cosa vi porta al mio castello? Non ci saranno guai con le scartoffie di Laloi, vero?
Eliseo era spiazzato, non sapeva come giustificare la sua visita, programmata da giorni, ma mai rafforzata da una buona scusa che la giustificasse!
- Noi s'era a fare una jita nella natura e s'è sentito la musihca... ehm... io non sci resisto alla musihca spagnola!
Geppi aveva preso in pugno la situazione! Il sig. Fanguel arrosì per un istante, abbassando lo sguardo. Poi, preso da un coraggio improvviso, si rivolse alla donna:
- E' molto bello che anche lei abbia questa passione, personalmente è da tempo che mi diletto nell'ascolto e beh, anche nel ballo andaluso... sa, il flamenco!
Geppi aveva gli occhi brillanti, il sig. Fanguel continuò a raccontare ed Eliseo restò di sasso nel vedere come l'uno si stava dimostrando sciolto e di piacevole compangnia e l'altra, così composta nella conversazione! Dopo aver finito tutti i biscotti ai cereali, Eliseo si sentiva un po' di intralcio in quelle chiacchiere e cercò di richiamare l'attenzione di Geppi, ma risultò impossibile. Il sig. Fanguel comprese la situazione, così con il garbo e tutta la premura necessari, annunciò che si era fatto tardi e forse il piccolo sarebbe dovuto rientrare a casa. Geppi si riprese dal torpore di quel pomeriggio così interessante e ringraziò mille e più volte del the, delle paste, del racconto, del.. del del! Il sig. Fanguel accompagnò i suoi ospiti alla porta, dove, si fece ancora un po' timido e li salutò gentilmente, ringraziando della visita. Tornando a casa, i due non proferirono parola.


Geppi si sentiva felice. Non si spiegava il motivo o forse non se lo chiedeva nemmeno. Passò la serata cercando informazioni sul flamenco e sulla musica andusa... o alanduna? Poi, preparandosi per la notte, spogliando il maglioncione in lana, si accorse che nella tasca destra c'era un cartoncino. Pensò che si trattasse del biglietto da visista di qualche fornitore del bar, perciò lo buttò distrattamente sulla scrivania.

Eliseo era ancora più confuso. Appollaiato al finestrino della sua cuccetta nella casa mobile, pensava e ripensava ai repentini cambiamenti di quel pomeriggio. Se il sig. Fanguel era così di compagnia, perché mai aveva deciso di rinchiudersi in quel vecchio rudere, lontano da tutti?? E perchè Geppi si era fatta tutta civettuola durante la visita al castello? Tra qualche minuto avrebbe fatto buio, meglio dedicarsi all'osservazione delle costellazioni.... ci avrebbe capito di più che in quei due.

Branchiano era in cucina. Mai prima di quella sera aveva tardato così l'orario della cena e mai si era concesso un bel bicchiere di vino, per accompagnare la sua bistecca di soia. Quella sera però, si sentiva tranquillo e in completa pace. Nessun vino rosso gli avrebbe acceso alcun ricordo, se non quello delle labbra rosse di Geppi, che per tutto il pomeriggio aveva contemplato discretamente. Sorrise al riflesso del suo viso nel bicchiere e coccolandosi nella speranza di un sì a quel suo cartoncino, ripose il bicchiere nel tinello, posticipando le faccende domestiche all'indomani, come mai si era permesso di fare.

Che segreto nasconde il sig. Fanguel? Geppi leggerà il biglietto trovato nel maglione? Risponderà? Eliseo si sarà già trasferito nel suo nuovo loft super hi-tech? Chissà. Qualcosa è destinato però a cambiare...

2.2.11

Agilità o personalità?! That is the question...

Buongiorno ai signori bimbi e ai grandi che non si credono tali.
Ieri ho sperimentato una nuova versione del blog, più leggera e adatta alla lettura da dispositivi mobili.
Di certo, seguire le storie è molto più facile e il caricamento delle pagine più veloce, ma a discapito di colori e grafica! Un banale fondo bianco, con titoli in turchese...
Che cosa ne pensate? Se vi va, lasciatemi un commento, se preferite, utilizzate la mia e-mail.
Grazie per la collaborazione :)

1.2.11

Eliseo - Alla collina della luna storta

Eliseo, un vampirello di poche centinaia di anni, sembrava un cucciolo di umano come tutti gli altri. Su di lui, il trattamento schermante contro i raggi solari funzionava molto meglio che sulla sua famiglia, permettendogli di passeggiare in pieno sole senza cappe o mantellacci neri. Bastava un po' di banalissimo schermo totale, con cui tutte le mamme umane impiastricciavano i loro figli al mare, per prevenire le ustioni. Ovviamente, i suoi occhi color argento dovevano essere protetti dai temibili raggi solari, quindi, Eliseo portava un paio di occhiali da sole super hi-tech, in grado di proteggerlo dai raggi UV, adeguarsi alla diversa intensità di luce e grazie alle lenti anti-riflesso, concedergli di guidare senza difficoltà anche di notte. Quest'utlima caratteristica tornava utile a Eliseo per i suoi rarissimi voli notturni, quando andava a studiare le costellazioni o gli spostamenti delle falene con il suo papà. Anche il suo incarnato stava assumendo un colorito più "umano", tanto che ormai da lungo tempo, non aveva più problemi di inserimento nelle varie classi frequentate. Restava il problema immortalità: ogni anno i suoi compagni crescevano, mentre lui rimaneva sempre lo stesso vampirello. A questo, aveva rimediato nonna Gorizia con un piccolo incantesimo. Ogni volta che uno dei de Vinis incontrava un umano, la memoria di quest'ultimo andava in una sorta di stand-by, così che i vampiri apparissero sempre aggiornati al passare del tempo.
Quel pomeriggio di gennaio, il sole d'inverno sembrava più intenso che mai ed Eliseo aveva abbondato con la crema solare al profumo di carota, lasciandosi alle spalle una dolce scia di profumo. La passeggiata fino alla sua vecchia casa si rivelò molto interessante e trovò un sacco di materiale per le sue ricerche: sei cristalli di silicio perfettamente trasparenti, una tana di lepri a cui scattò parecchie fotografie, un mazzo di stelle del mattino e un nido di ballerina bianca di cui fece un ottimo schizzo sul suo taccuino. In prossimità del castello, lo aspettavano invece i suoi inseparabili rospetti, perchè, contrariamente agli umani, i vampiri amano questi animali come noi amiamo  cani, gatti o criceti grassottelli. Non è strano trovare acquari con rospi o rane nelle camerette dei giovani vampiri e anche Eliseo, ormai da due anni,  si prendeva amorevolmente cura della sua rospa. Giunto sino al portone principale, Eliseo notò con curiosità alcune "modifiche", probabilmente apportate dal nuovo inquilino. Lo stesso portone, che per secoli aveva servito da ingresso, era stato sbarrato alla meglio, con assi di vecchie cassette per la frutta e così anche tutte le finestre del primo piano. Eliseo fu perciò costretto a raggirare l'intero palazzo, cercando di farsi strada nel groviglio di sterpi che avevano raggiunto un'altezza considerevole... esisteva veramente qualcuno che amasse i rovi più di sua nonna Gorizia?! Dopo la faticosa attraversata fra le erbacce, il vampirello si rimise in ordine, per apparire più presentabile agli occhi del nuovo padrone di casa e gettando uno sguardo sbadato all'orto, si accinse a suonare il camp... no, il campanello era scomparso! Al suo posto, un cumulo di scotch marrone che rendeva impossibile l'annuncio di una qualsiasi visita! Eliseo si grattò la testa, diede un'occhiata ai piani superiori allontanandosi un poco dalle mura perimetrali. Niente. Nessun rumore o segno di qualsivoglia presenza. Si era forse trasferito altrove? Chissà....

Mentre Eliseo prendeva la via del ritorno, all'interno del castello due occhi vitrei lo osservavano attentamente, controllando in maniera meticolosa tutta l'attrezzatura che il vampirello si portava appresso: un cappellino, un binocolo al collo, uno zaino multitasche da cui spuntava una grande lente di ingrandimento, una borraccia e una digitale compatta in mano...
- Quel moccioso è venuto a controllarci Moby Dick, ma noi l'abbiamo scoraggiato, eh eh! - sputacchiò il sig. Fanguel, rivolgendosi al suo fidato pesce rosso. Nonostante il vecchio scapolo odiasse tutti i bambini, Eliseo esercitava una sorta di fascino su di lui, forse per via della sua "razza" particolare o i suoi hobby, così inusuali per un bambino moderno. Infatti, restò a guardare il piccoletto fino a quando la vista dal castello glielo permise, quasi per rassicurarsi che non gli accadesse nulla. Subito dopo, quasi riprendendosi da uno strano stato di trance, il sig. Fanguel riprese la sua monotona routine quotidiana. A quell'ora del pomeriggio (di ogni pomeriggio della settimana, del mese e di tutto l'anno!) il sig. Fanguel si dedicava a uno dei suoi passatempi preferiti, la lettura delle cronache dei monarchi francesi del passato, attività che gli garantiva di impiegare gran parte del suo tempo libero. Ciò che risultava ancor più improbabile era che, una volta terminati tutti gli annali di tutti i monarchi sino al fatidico 1789, il sig. Fanguel riprendeva in mano il primo volume e con aria soddisfatta e curiosa, rileggava nuovamente tutta la storia di Francia. Anche quel giorno, non mancò il suo appuntamento alla scrivania della biblioteca divenuta la sua postazione pomeridiana, da quando si era trasferito nel castello. In effetti, quando viveva nell'appartamento del sig. Palmì, le sue storiche letture si limitavano ai volumi dell'enciclopedia collezionati dalla madre con i punti del supermercato. Il castello aveva aperto i suoi orizzonti! I vecchi proprietari avevano fatto una selezione dei libri custoditi in biblioteca, portandosi via soltanto quelli ritenuti più interessanti e lasciando il resto a disposizione del nuovo inquilino, rendendolo, inconsapevolmente, l'uomo più felice al mondo.

Sulla strada verso il sua casa-mobile, Eliseo pensava a dove poteva essersi cacciato il sig. Fanguel, ragionando a voce alta...
- Uno non può comprare un intero castello, per poi decidere di trasferirsi altrove dopo qualche mese, certo, il puzzo di rospo è abbastanza intenso, ma doveva aspettarselo! Non capisco poi tutte quelle assi inchiodate alle finestre... secondo me c'è qualcosa che quel sig. Fanguel tiene ben nascosto... e sono certo di poterlo cogliere di sorpresa! E sicuramente... - quando Eliseo si lasciava trasportare dalla corrente dei suoi pensieri, somigliava molto alla mamma Floflò, due veri chiacchieroni! La mamma, però,  inondava con le sue parole tutti i malcapitati che avessero solo accennato un cenno di saluto, mentre Eliseo era un bimbetto molto riservato, quasi taciturno, eccezione fatta per la sua preziosa amica Geppi. Così, deciso a condividere con lei le sue macchinose riflessioni, invece di tornare a casa, si diresse verso la piazza.
- Il mio amihco Ely! Hcome tu stai? L'è un po' hche non ti si vede!
- Ciao Geppi! Ascolta... devo raccontarti qualcosa... - declamò Eliseo senza troppe chiacchiere.
- Ossuvia, dimmi tappetto...
- Oggi sono stato dal sig. Fanguel e...
- Maremma! Ma hche tu te sei impazzito??! Tu non lo sai hche quello l'è un po' matto?
- Ascoltami un poco Geppi! Lasciami finire...
- Okok, te tu sc'hai ragione...
- Ci sono andato per vedere dove si è cacciato, nessuno sa più nulla di lui e a me non sembra matto... mi sembra un tipo troppo solo, ecco. Sai con la scusa di rivedere la mia stanza avrei dato un'occhiatina in giro e poi sicuramente qualcosa avrei trovato e capito, no? Perché in fondo nessuno ha mai provato a parlarci come si deve e io credo che...
- Ely, ora sei te quello che sciabatta troppo. Te sc'hai ragione, si va a hcontrollare! Non guardarmi hcosì sai! Hche hcredevi? Ovvio hche vengo hcon te, son mihca hcosì grulla!
Decisero di ripartire per il castello l'indomani, il giorno di chiusura del bar di Geppi, in modo da avere tutto il tempo di fare gli adeguati appostamenti e tenere sotto controllo tutta la zona. C'era solo un punto da cui era possibile osservare tutta la tenuta... la collina della luna storta. Come ogni altra famiglia vampiresca, anche i de Vinis avevano il loro luogo magico, dove, in un tempo lontano e lontano, gli avi di Eliseo compivano i loro riti per scrutare le menti, il passato e il futuro.... e altre cose da far rabbrividire! Nonostante fossero passati secoli da quelle pratiche, la collina in questione era rimasta un luogo di sventura, dove nessuno avrebbe mai pensato di accamparsi per un pic-nic! Non era però il caso dei due amici curiosi che, vista l'inaspettata bella giornata si portarono un cestino pieno di verdure e bistecche di soia... che sembravano più di plastica, a dire la verità. L'amicizia fra Eliseo e Geppi nacque proprio per le richieste di cibo "bio e green" del vampirello, un'abitudine inconsueta per un ragazzino! Spiegando i motivi delle sue scelte alimentari, Geppi non poté credere alle sue orecchie. Aveva conosciuto un vero vampiro... insomma, uno come quelli di Twailait! Da buona zitella si era appassionata alla saga per adolescenti e aveva riletto tutti i libri 5 volte e rivisto tutti i film, una sera a settimana per circa 10 lunghi mesi. In principio fu una tortura per Eliseo. Ogni volta che entrava al bar, doveva sorbirsi un interrogatorio serrato della proprietaria, con relative ispezioni dell'incarnato, dell'iride, dell'odore, eccetera eccetera... Poi, la povera zitella si quietò e si beò di poter avere un cliente vampirello. Eliseo trovò in Geppi una sorta di sorella maggiore, ma soprattutto un'umana divertente... ce n'erano davvero pochi così... tutti si credevano così fastidiosamente saputelli e dotti! Geppi era semplice, chiacchierona e adorava ascoltare tutte le scoperte naturalistiche del tappetto.
Sgranocchiando le bistecche in similplastica, Eliseo preparò il suo telescopio, puntandolo verso il castello. Geppi continuava a gesticolare, raccontando di Esclipx, ri-visto la sera precedente, di quanto fosse realistica la resa degli occhi dei vampiri, prestando poca attenzione alle premure di Eliseo nei confronti del suo milionario aggeggio spia-pazzi. Mentre impegnava le mascelle in un faticoso addentare di plastica cotta, Eliseo avvicinò i suoi occhi argentati all'occhiello del suo telescopio, per rimanere allibito! Dall'altra parte del tubo, si vedeva il sig. Fanguel...
- O hche tu sc'hai? Sembra hche tu abbia visto un fantasma, te tu sei abituato, no?
- Ma... ma... che fantasma! C'è il sig. Fanguel!!
- Oh grullo, non siamo mihca venuti per lui??
Senza rispondere, il vampirello ripiegò le sue labbra sottili dapprima in un sorriso e quindi in una grassa e fragorosa risata, gettando Geppi in confusione.
- MMM, fammi vedere grullo! Non si hcapisce nulla delle vostre emozioni...
Geppi non durò nemmeno un secondo e scoppiò a ridere a crepapelle! Forse Eliseo aveva ragione sul conto del povero Branchiano! Geppi non riusciva a trattenenrsi, rideva e rideva e i suoi grandi occhi color castagna si riempirono di lacrimoni. La sua risata era talmente buffa che diveniva contagiosa tanto che, anche se non c'era nulla di cui ridere, non se ne poteva fare a meno! Anche in quell'occasione, il riso durò molto più del dovuto e Geppi, ormai senza fiato, cominciò a rotolare sul prato ancora umido per la brina lasciata dalla notte...
Che cosa stava combinando il sig. Fanguel di così divertente?