Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

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11.3.13

Il Gran Ballo e le cipolle candite


C'era una volta, nella cucina ordinata di un grandioso palazzo, un piccolo cassetto, in cui venivano riposti gli attrezzi che si usavano meno.
Nella cucina c'era sempre un gran fermento. Gli chef, con i loro grandi e gonfi cappelli candidi si muovevano veloci e sicuri tra fiamme, pentoloni, griglie e piastre, verdure e lame, carni e sapori esotici, venuti da lontano sui grandi bastimenti attraccati al porto la mattina di buon'ora. Le merci arrivavano appunto ogni mattina dal porto, gli incaricati della brigata di cucina controllavano gli ordini del Grande Chef e accettavano i prodotti, dopo essersi accertati della loro qualità e dell'assoluta freschezza di ogni materia prima. Nessun pesce che non fosse stato pescato durante la notte precedente, nessuna verdura che non fosse arrivata la stessa mattina, nessuna spezia che avesse perduto il suo aroma intenso e spiccato, queste erano le regole. Ogni strumento era ordinato con cura e alla fine di ogni servizio, tutto veniva pazientemente lavato, asciugato e riposto nello spazio dedicato. Ognuno aveva il suo compito e il suo ruolo; nella cucina regnava una ferrea disciplina diretta dal Grande Chef. Nessuno osava contraddirlo o disobbedirlo. Il Grande Chef lavorava nel ristorante da sempre, non c'erano altri che fossero lì da più tempo. Nessun altro, se non Javier il lavapiatti, ma di lui non si curava pressoché nessuno.
Ma torniamo al cassetto degli attrezzi poco usati, perché lì, dimenticato fra cianfrusaglie e ciarpame di vario tipo, si nasconde il protagonista di questa storia. In ogni cucina esiste un cassetto un po' in disordine, in cui alla rinfusa, si chiudono tutte quelle cose che non servono o magari troppo vecchie o semplicemente dimenticate e seppellite sotto tutto il resto. Nella cucina del Grande Chef, il cassetto del disordine si trovava in un angolino, vicino alla plonge*, dove tutti evitavano di passare, se non perché costretti da una punizione del Grande Chef. La nostra storia guarda proprio in quell'angolino e in particolare in quel cassetto, sotto a vecchi trinciapolli arrugginiti, coltellacci non più affilati, cucchiai in legno bruciacchiati, tappi in sughero dimenticati, mestoli ammaccati e schiumarole piegate. Un cassetto di cui non si curava pressoché nessuno. Nessuno, se non Javier.
Una mattina di Primavera, nel palazzo iniziarono i preparativi per il Gran Ballo, l'evento più importante di tutto l'anno, a cui partecipavano dame e cavalieri da ogni luogo del mondo conosciuto. Servivano settimane prima che tutto fosse pronto: i tappeti andavano sbattuti, lavati e fatti asciugare, l'argenteria doveva essere lucidata, tutte le candele sostituite, i pavimenti ramazzati, le maniglie e i corrimano in ottone lustrati, i vetri puliti... e tanto altro ancora. Immaginate una grande casa in subbuglio, con cameriere e maggiordomi affaccendati qua e là, i giardinieri al lavoro e gli stallieri altrettanto. Ovviamente, in cucina non si stava in panciolle. Carichi, ordini e pulizie per preparare tutto in ordine e pronto per il grande evento. In queste occasioni, il Grande Chef si irrigidiva ancor di più, tanto che i suoi sottoposti ne erano letteralmente terrorizzati. Non erano ammessi errori.
Alla vigilia del Gran Ballo, accadde però quello che noi tutti definiamo come imprevisto, sfuggevole al comando persino del Grande Chef. Tre dei suoi migliori aiuti si beccarono il potentissimo virus influenzale che li costrinse a letto con febbre, dolori vari e altri disagi. Non c'era più tempo di preparare qualcuno per coprire i loro ruoli e non c'era tempo per preparare tutto. Il giorno del ballo, il Grande Chef si presentò in cucina prestissimo, prima di tutti gli altri, così che quando i primi si presentarono alla porta della cucina, trovando la stufa già accesa, presagirono il peggio... e così fu. Rabelais, questo era il nome del Grande Chef, diede su tutte le furie: lanciò dei tegami per terra, scagliò delle patate sul muro e con un fiume di parole travolse i poveretti che si erano semplicemente presentati al solito orario. Intanto, in fondo, alla plonge, Javier lavorava in silenzio, da prima che chiunque mettesse piede in cucina. Mezzogiorno arrivò in fretta e anche se Rabelais era organizzatissimo, sapeva bene che il banchetto della sera incombeva su di lui e sulla sua cucina e non avrebbe mai potuto garantire il pantagruelico menù senza i suoi tre migliori aiuti (che furono licenziati in tronco lo stesso giorno...). Il sudore imperlinava la sua fronte, mescolandosi con i suoi pensieri, le sue mani si muovevano con precisa velocità, ma non c'era tempo. Tutti lavoravano in silenzio assoluto, soltanto lo sbuffare del pentolame e il crepitio del fuoco, accompagnato dall'acciottolio delle stoviglie rompevano quel rigido e gelido clima di lavoro. Finito il servizio del pranzo, tutto doveva ruotare attorno al banchetto serale. Rabelais aveva gli occhi arrossati, le labbra tirate e i muscoli del collo in una tensione massima. Alla minima imprecisione, si scagliava contro il malcapitato, con offese, grida in un affanno di rabbia e disperazione. Le 16. Non c'era tempo, non più. Con ormai un filo di voce, Rabelais prese a ragguardire uno degli sguatteri, un ragazzino esile quanto una gamba di sedano, perché aveva gettato della scorzetta d'arancia senza sapere che sarebbe servita come guarnizione di un piatto. Ogni disattenzione rappresentava una consistente perdita di tempo per tutta la brigata. Javier continuava, a capo chino, il suo lavoro.
Le 18. Ormai era questione di una manciata di ore. Proprio allo scoccare delle sei, Rabelais chiese all'entremetier** di portare la teglia con le cipolle da candire in forno. Il poveretto dapprima arrossì, poi paonazzo si guardò attorno in cerca di aiuto nei suoi compagni, infine scoppiò in un pianto soffocato dai singhiozzi e Rabelais riuscì ad intendere "dimenticato", in una serie di "mi scusi" e "sono desolato". Inutile dire che Rabelais perse le staffe. Raccolse tutta la voce rimasta nella sua gola per accanirsi sull'uomo, sul suo aiutante e con essi, tutti gli altri, non risparmiò proprio nessuno, quando una voce lo sovrastò. Un silenzio pesantissimo si raccolse attorno a quell'angolo della cucina che nessuno mai osservava dove, assorto nel suo lavoro, Javier aveva osato rispondere a Rabelais. Quest'ultimo verde di rabbia, inspiegabilmente restò in silenzio. Fu allora che Javier, senza nessuna inutile furia, prese il controllo di tutto e con estrema calma rimise tutti al lavoro. Prima di fare ciò, mandò l'aiuto dell'entremetier a prendere le casse di cipolle da candire, ancora riposte nel magazzino e chiese all'o stesso entremetier di prendere dal cassetto del disordine i piccoli coltelli dal manico rosso. Imbarazzato, l'uomo raggiunse il cassetto e quando vide lo strumento comandato, non seppe di che farsene, guardando sbigottito il nuovo capo. Javier ne prese uno e, con una manualità impressionante, prese a sbucciare le cipolle con tale rapidità che tutti, Rabelais compreso, rimasero di stucco. Così, dopo aver impartito gli ordini agli altri chef-de-partie***, raccolse tutti gli sguatteri e mostrato loro come fare, riuscì a far sbucciare e affettare tutte le cipolle, infornandole poco in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Javier aveva risolto la situazione, con calma e pazienza. Il banchetto fu un successo e mentre le portate uscivano in sala perfette, la brigata di cucina gli si fece intorno e togliendo gli alti cappelli bianchi, presero a battere le mani. Tutti. Tranne uno, Rabelais che in un angolo sfogò il suo sconforto in un pianto a dirotto. Javier gli si avvicinò e posando una mano sulla sua spalla, lo invitò al centro. In fondo era stato lui a organizzare tutto per la festa. I complimenti fioccarono anche da parte di tutti gli ospiti e anche i padroni, che mai si erano scomposti in un complimento, già dopo le prime portate, affidarono agli chef-de-rang**** i loro omaggi per il Grande Chef. A questo punto però, chi era il Grande Chef?
La cucina era acefala, Rabelais si sentiva così deluso dal suo fallimento che quando Javier gli si avvicinò, gli consegnò il suo cappello stellato, che venne prontamente rifiutato. I due si guardarono negli occhi e Javier gli disse che non doveva sentirsi abbattuto, ma che la squadra era fatta per non crollare e lui aveva solo fatto ciò che sapeva fare, ma riconosceva in lui il genio creativo di sempre. Rabelais rimase esterrefatto e per la prima volta, sorrise a quell'uomo così umile e pieno di risorse. In vano offrì a Javier il posto come sous-chef, perché lui sempre lo rifiutò, ma in cucina, da quella sera, regnò un'armonia mai avuta. Rabelais si dimostrava più paziente e comprensivo con i suoi sottoposti e scrutava il loro lavoro, anche nei reparti più indegni, perché il talento poteva nascondersi ovunque. Inoltre, imparò anch'egli a riconoscere la bravura dei suoi aiutanti e non soltanto gli errori.
Resta ancora un mistero da svelare, anzi due. Il piccolo coltello dal manico rosso, così a lungo dimenticato... che magie nascondeva nella sua lama? Un vecchio ambulante aveva lasciato una partita di quei coltelli in omaggio a seguito di un acquisto considerevole di merce, ma nessuno ci aveva mai dato importanza. Mai nessuno tranne Javier. Per le sue dimensioni ridicole, il coltello prese il nome di spelucchino e da quella serata nel grande palazzo, divenne un aiuto fondamentale in cucina... E l'altro mistero? Chi era Javier? Dove aveva imparato a dirigere la brigata? Come sapeva riconoscere l'uso di uno strumento mai visto? Perché non accettò mai un posto migliore di quello da plongeur? Ma queste sono domande che raccontano un'altra storia...

Parole nuove dal Francese:
* Lavaggio
** Addetto alla preparazione di verdure, legumi e uova
*** Capo partita
**** Responsabili di sala