Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

Pagine

25.11.15

Cappuccetto Rosso in Gore Tex

A Bruno Munari.

C’era una volta, in una valle in cui pioveva sempre, un piccolo villaggio umido, ai margini del bosco.
In una delle ultime case, proprio a ridosso del ruscello che attraversava la foresta, abitava Cappuccetto Rosso. Come sapete, al di là del bosco abitava invece la nonna della bambina prodigio, scampata alle mire della Disney che la vedeva già rivale di Hilary Duff.

Cappuccetto aveva già incontrato il Lupo da tempo e grazie al Cacciatore l’aveva scampata bella. Era tutta acqua passata. La nonna, nel frattempo era diventata ancora più vecchia, ma riceveva ancora volentieri la nipote che era ormai iscritta all’Università.

Così, in uno dei tanti pomeriggio di pioggia, Cappuccetto Rosso si avviò per il bosco. Come quando era bambina perse tempo qua e là osservando funghi e piante, non soltanto per raccoglierli come un tempo, ma per studiarli e catalogarli. Cappuccetto era laureanda in Scienze Naturali.
Mentre era intenta ad osservare un fiore particolare, una voce la colse di soprassalto:

Buongiorno!
- OH! Che spavento! Buondì…
- Non si preoccupi, non sono il Lupo Cattivo… - aggiunse sornione il bel tipo sulla trentina, aggiustandosi gli occhiali su un naso perfettamente appuntito.
- Ah guardi, se incontrassi il Lupo mi riterrei molto fortunata! Ma ormai non se ne vedono più, purtroppo.
- Quanto ha ragione! Ma ecco, io la disturbavo perché l’ho vista passeggiare sotto questa pioggia e si sta bagnando tutta!
- Guardi che se vuole vendermi un ombrello non lo compro! Si rompono tutti! E’ più comodo non averne!

Il rappresentante le spiegò che non le voleva vendere nulla, tantomeno un ombrello. Le proponeva, invece, un test di una giacca rossa formidabile, a suo dire. Si trattava di un tessuto innovativo, rivoluzionario! Sembrava che potesse essere traspirante, quanto antivento, caldo quanto impermeabile! Quando le pose in mano la giacca, Cappuccetto scoppiò a ridere! Era così leggera! Come avrebbe potuto proteggerla con così pochi grammi di peso?? Accettò comunque di partecipare al test, ansiosa di verificarne l’insuccesso.

Da quel giorno Cappuccetto scorrazzò in lungo e in largo con la sua nuova giacca e ne rilevò l’effettiva efficacia, tanto che non solo la propose alla nonna per le sue uscite notturne a salvare i Bufo-Bufo, ma anche al Cacciatore per le sue battute di caccia e persino al Lupo, riavvistato dopo secoli e ormai vecchissimo e sensibile al freddo.

Da allora, Cappuccetto fu ricordata come Cappuccetto Rosso in Gore Tex.

30.10.15

Il parolaio di professione

C'era una volta un parolaio di professione.
Conosceva ogni articolo, ogni preposizione, ogni congiunzione, ogni aggettivo, ogni nome, ogni verbo. I sinonimi non avevano segreti per lui che aveva, ormai, scovato ogni parola dalla sua tana.

Un giorno, in una delle sue battute di caccia di parole, avvistò una parola che gli sembrava sconosciuta. Ne vide soltanto l'iniziale e, dalla sua punta, dedusse che potesse essere una bella A. Guardò nel suo zaino e passò in rassegna tutta la sua raccolta di parole con la A. Sembrava proprio che non ci fosse, ma non aveva potuto distinguerla e quindi pensò che potesse essere AMICO oppure ALAMBICCO o forse ARCOBALENO! Non sarà stata forse ALBERO?

Decise di trovare quella parola. Il Signore delle Parole l'avrebbe guidato! Perlustrò la pianura in lungo e in largo. Niente. Salì passi e li ridiscese. Niente. Sorvolò i mari in elicottero. Cercò indicazioni nei cartelli, per trovare il sentiero giusto. Visitò vecchi teatri polverosi e partì per l'Africa convinto, per un per un periodo, che si trattasse di una parola straniera.


Poi, in una notte di stelle, ormai disilluso di poter trovare quella parola, si rifugiò in un vecchio cinema. Poltrone rosse, pop corn e chiacchiericcio. Si gustò quella pellicola, felice di trovarvi parole note, già raccolte negli anni. Poi le luci si riaccesero e, inaspettatamente, senza preavviso, eccola. Era lei, era quella parola sfuggente! Era lì, davanti a lui. Non aveva sbagliato, era proprio una bella A. La accolse con un sorriso e lei si avvicinò per essere raccolta e custodita per sempre.

Fu così che, il parolaio di professione conquistò l'ultima parola della sua collezione: AMORE.

11.9.15

La fata della neve

C'era una volta, tanto tempo fa, una landa di terra piatta ed erbosa di proprietà del Padrone delle Terre. Sfortunatamente, un giorno, giocando a UNO con il Padrone delle Acque suo fratello, perse e dovette cedergli quella vasta e rigogliosa pianura erbosa. Così, un caldo oceano invase la pianura e sul suo fondale si formarono grandi vulcani, simili ad immensi camini infuocati. Nemmeno quell'oceano blu cobalto era però destinato a durare. I Cavalieri d'Africa del Padrone delle Terre litigarono a proposito della ripartizione delle zebre con i loro rivali, i Cavalieri d'Europa. Tutto ciò fece scontrare le loro terre e queste si piegarono con tale forza da innalzare dal fondale marino i vulcani e la terra circostante, fino a divenire una lunga e possente catena di montagne, che oggi conosciamo come Dolomiti.

E' su queste cime, che si ergono da boschi incantati per svettare ai confini con il cielo, che inizia la nostra storia. Dopo la ripida salita, seguendo il sentiero a mezzacosta, fra i pascoli che in estate rifocillano le grasse mucche pezzate e dove d'inverno gli sciatori sfrecciano in coloratissimi giubbotti e sciarpe, è possibile raggiungere il vecchio rifugio. Possenti pietre ricavate dalla roccia dei monti sono state posate come base di questa struttura e per alzarne i muri indistruttibili. Lunghi tronchi robusti sono stati sapientemente rifiniti per sorreggere un tetto, che potesse proteggere da tutte le intemperie e lavorati finemente per realizzare mobili duraturi e massicci. Brillanti stelle del cielo sono state raccolte nella notte, perché illuminassero le stanze di questa casa, con una luce pura e rispettosa. Così è nato il Rifugio, sotto lo sguardo imperscrutabile delle montagne maestose.

Si racconta che questi lavori siano iniziati in una notte d'estate senza luna, tanto tempo fa. Si dice che una Fata della neve avesse voluto creare un luogo di ristoro lungo la via per le montagne. Si sussurra che questa fata sia ancora presso il rifugio e conceda, talvolta, qualche parola ai suoi ospiti. Si pensa che incontrare uno dei suoi sorrisi sia un dono di pura felicità. Ogni Fata della Neve conosce la vera Felicità e sa quanto sia difficile da conquistare. Le Fate sanno quanto la gente non comprenda il sapore della Felicità benché sia così intenso e piacevole! Un pranzo in famiglia, la risata di un bimbo, le parole di un amico, le coccole di una mamma...
Se la Fata della Neve dovesse dispensarvi di questa gioia, non trascuratela, si tratta di un regalo prezioso che accompagnerà il vostro cammino per sempre.

29.7.15

La rivincita del 35 - come conquistare un ballo (e un principe) sbaragliando le stangone

C'era una volta, in una bottega di una viuzza del centro, una bella scatola nera, rivestita di una carta lucida rosso lacca al suo interno. Sul coperchio era stampato il nome di un famosissimo stilista, celebre per le sue splendide creazioni. La confezione se ne stava ordinatamente impilata con altre scatole, ma spiccava fra le tante in semplice cartone bianco, perché custodiva un modello prezioso, unico. Era qualcosa di assolutamente speciale, pensato per un avvenimento importantissimo. Nessuno ancora si poteva immaginare quale...

Ditemi voi, se IO, un modello unico al mondo, dovessi stare stipata in uno scaffale tra proletari e scadenti articoli da bancarella! Ditemelo! IO, ho sempre saputo che il mio destino sarebbe stato quello di diventare indimenticabile, ma al tempo del negozio non potevo proprio immaginare come avrei fatto a realizzarlo. Quante volte ho pensato di girare sui miei splendenti tacchi glitterati e di andarmene! In quel minuscolo paese ai confini della civiltà, mi sembrava così difficile trovare una ragazza degna della mia eleganza e soprattutto con un piede abbastanza aggraziato da calzare un numero così piccolo. Ero davvero sull'orlo di una crisi di nervi. Il modello accanto a me, una specie di ciabatta raso-terra, cercava di consolarmi parlandomi del Palazzo e dei Banchetti che vi venivano allestiti: Happy-Hour in total white, Brunch vegani, DJ-set con musica lounge, Runway con spettacoli live... Cosa avrei dato per potervi partecipare!! A volte mi chiedevo perché il mio designer mi avesse spedita in quella bottega così provinciale, IO, che ero fatta per la vita cittadina, per l'opera, per una prima, per il teatro! Perché mai affidare un modello come ME a quel negozio? Scelta così irragionevole e incomprensibile che mi faceva perdere i tacchi ogni volta che ci pensavo.
Un giorno, però, accadde qualcosa di diverso. Dalla fessura della mia scatola, vidi entrare un tizio sulla trentina, com'era glamour! Portava una barbetta scura, così perfettamente incolta! I suoi occhiali da sole in osso erano così ricercati e il mocassino in pelle verde bosco era sicuramente fatto a mano. Che classe! Questo signore spiegò al negoziante che presto sarebbe arrivata in città una personal-shopper mitica, anzi, magica! Usò proprio questo termine. Stava cercando dei pezzi unici e irripetibili per comporre l'outfit per un'importantissima serata a Palazzo di una delle sue clienti e stava passando a tappeto ogni bottega, per trovare qualcosa che nessun altro sulla faccia della Terra avrebbe potuto trovare. Il tizio prese nota sul suo iPad del nome e dell'indirizzo del negozio e se ne andò, salutando con un gesto così meravigliosamente francese, lasciando una fragranza ambrata che permase nell'aria, rendendo, per un attimo, quel loculo un posto ameno! Era il mio momento!! Stavo già sognando la notte a Palazzo, la mia entrata trionfale, il mio conquistare la scena, quando quell'idiota del negoziante prese un'altra scatola, con delle décolleté a mezzo tacco, color topo morto avvelenato e con un'orrenda spilla anni '80 dai riflessi terribilmente verdeggianti. Erano un incrocio tra una scarpa ortopedica e un modello da balera di valzer e mazurca. MA CHE GLI SALTAVA IN QUELLA ZUCCA VUOTA?! Quale pazza avrebbe mai scelto un outfit verde per una serata così importante?? Lo sanno tutti che è un colore così sfacciatamente presuntuoso! Ma cosa poteva saperne lui? Lui che le avrebbe persino abbinate a un abito beige o rosso fuoco... che immensa tristezza e inquietudine! Pose la scatola su un pouf bianco e si rimise a leggere il suo volume di Dickens. Avrebbe dovuto fare il libraio! Almeno per la letteratura aveva buon gusto. Ero disperata, rovinata, atterrita e ferita nel mio orgoglio di 12 cm di puro stiletto.
Il giorno seguente, la serranda si aprì alla solita ora e quello zuccone del negoziante entrò con i suoi soliti due minuti di anticipo, con la sua solita faccia slavata, con la sua solita svogliatezza e senza stile come sempre. Stava ancora accendendo le luci quando entrarono loro. Pump neri di Bottega Veneta allacciati alla caviglia, con una punta squisitamente tonda e un classico e rassicurante tubino nero, indubbiamente di Dolce e Gabbana con un paio di occhiali neri di Karen Walker e un foulard con dettagli azzurro turchino, indiscutibilmente di Hermes. Caschetto e una manicure nature impeccabile. Fantastica. Era lei, Azzura Magictour, la migliore personal-shopper del mondo! Chiese, con estrema gentilezza, di poter curiosare... Oh, che stile! Chi mai avrebbe potuto voler curiosare in quel postaccio! Aprì qualche scatola e notai una lieve piegatura del suo perfetto sopracciglio che spuntava dai Karen Walker e compresi la sua disapprovazione (ovviamente per il negoziante rimase imperturbabile) e quando le venne chiesto se ci fosse qualcosa di suo gradimento, lei risposte: - So che lei ha un modello molto ricercato, con dei cristalli Swarovski. - Non stavo più nella scatola!!!! - Vorrei vederlo, se fosse possibile - riprese. Quello stoccafisso sotto sale rimase impalato. Con un filo di voce, le rispose che quel modello (IO) era disponibile solo in un numero molto piccolo e che per di più era molto costoso. Sciocco. Dannatamente e infinitamente sciocco. Mi sarei voluta sotterrare per lui. Lei, bellissima, disse, con eleganza, che non c'era problema. Finalmente quel salame prese la sua scaletta e raggiunse l'unica scatola, in tutto il suo inutile negozio, degna di essere aperta dalle mani di Azzurra: la mia. Che emozione quando il coperchio venne tolto e la luce m'illuminò dopo tanto tempo. Quando il fruscio della carta velina lasciò presagire che presto lei, con grazia, mi avrebbe presa in mano per verificare che non mancasse nemmeno un cristallo. Quando la sua pelle toccò la mia, entrambe sentimmo la nostra magia. Ero in buone mani, che mi avrebbero affidato a buoni piedi. Disse che ero perfetta. Nonostante già lo sapessi, sussultai in punta! Chiuse l'acquisto senza nemmeno chiedere il prezzo (che signora) e io lasciai il negozio per raggiungere il mio destino. Il mio passato però non voleva mollarmi, perché dopo qualche passo, ricomparve il negoziante che agitando un calzascarpe, raggiunse la divina Azzurra.
- Si-si-signora, aveva dimenticato questo - balbettò il senza-stile.
- Che gentilezza d'altri tempi, rincorrermi sino a qui, vuole prendere con me un caffè? - (Ma era impazzita anche lei? Farsi vedere in giro con quel tale!)
Scelse lei, ovviamente il locale più cool della città. Caffè macchiato per lui (perdente) nero ed espresso per lei (così stilosa!) e chiacchierarono di libri (avevo detto che avrebbe dovuto fare il libraio!). Poi lei scappò via e IO con lei, mentre lui ci salutava con un gesto così infantile < mi permetto di aggiungere, anche se in questa storia non sono narratrice, ma solo per onor del vero, che il gesto di saluto era lo stesso del tizio molto glamour entrato nel negozio il giorno prima>.
Il giorno della grande serata arrivò. Ero stata abbinata a uno stupendo abito di Elie Saab presentato a Parigi lo scorso Gennaio. Un avorio segretamente sensuale, per un abito con leggere maniche a farfalla, arricchite da preziosi inserti in pizzo di tulipani, per ricamare l'incarnato, lasciando la schiena nuda e una vaporosa e impalpabile gonna fino a ME, il tocco di luce. Finalmente ero nel mio mondo: una cabina armadio grande quanto il negozio, piena di abiti da sogno realizzati nei tessuti più pregiati e con preziose rifiniture, composte da mani sapienti. C'erano altre scarpe, ma io me ne stavo al centro, su un cubo in pelle di struzzo tutto mio, di fronte allo specchio. Ero raggiante. Nel pomeriggio, arrivarono finalmente i miei piedi, ehm, voglio dire, arrivò la ragazza che mi avrebbe indossato la sera stessa. Devo ammettere che ne rimasi un po' delusa, In effetti era semplice, con un jeans e un'insulsa maglietta bianca. Per dirla tutta, era un po' bassettina, ma non potevo aspettarmi che una stangona potesse calzare il mio numero . I suoi lunghi capelli biondi e ricci sembravano luminescenti e i suoi occhi color nocciola erano penetranti. Dovevo riconoscerle che era bella, molto bella e con un sorriso pieno, semplice e solare. Quando provò l'oufit scelto da Azzurra le si gettò al collo felice, dicendole che IO ero fantastica. Già lo sapevo, ma insomma, fa sempre piacere sentirselo dire. Dopo ore di trucco e parrucco, eravamo pronte: la nostra serata era tutta per noi.
Arrivammo con quel tanto di ritardo che basta per essere notate, ma senza apparire maleducate. Eravamo raggianti. Tutti gli occhi puntati addosso, la piccola si muoveva con una leggiadria affascinante e raffinata e io la seguivo nei suoi passi perfettamente allineati. In molti si complimentarono con lei per la sua eleganza e in molte si appartarono con facce invidiose e sguardi fulminanti di rabbia. Arrivò anche l'ultimo ospite, si diceva fosse il figlio della splendida direttrice del più noto e patinato giornale di moda. Lei dettava la legge della moda, ovviamente dopo essersi confrontata con Azzurra Magictour, sua intimissima amica. Si presentò appunto con la madre, ma fu tale la folla attorno a loro che proprio non mi fu possibile scorgere nulla di quei due, se non fino a quando venne in nostro soccorso Azzura, bellissima come sempre, in un abito color cipria. Disse di seguirla, avremmo avuto l'onore di conoscere la regina della moda e suo figlio. Capii che la mia piccola amica cominciava ad agitarsi dal suo passo, reso frenetico dell'eccitazione di quel momento. Da quanto intesi, sognava di diventare una giornalista di moda. Superata la folla, apparvero loro: lei in un elegantissimo abito lungo blu notte e accanto un ragazzo magro in un abito Armani, semplicemente perfetto. Quando si voltarono rimasi di stucco. Non potevo credere alle mie punte. Accanto alla più influente giornalista di moda, se ne stava il mio negoziante, con la sua aria trasognata! Mentre Azzurra intercedeva per la ragazza, lo stoccafisso rimase magnetizzato dagli occhi della mia giovane amica e per fortuna, questa iniziò un discorso e lui ebbe la brillantissima idea di offrirle da bere. Ancora non potevo crederci, ma cominciai a capire come mai fossi in quel negozio, anche se rimaneva un mistero il perché il figlio di un mito della moda gestisse un provinciale negozio di calzature femminili.
Quella notte il negoziante non mollò un minuto la mia giovane e piccola amica, ciò che accadde poi, non mi fu dato sapere se non quando, un anno dopo, venni raccolta ancora una volta dalla mia preziosa scatola nera, per essere indossata come portafortuna. Era un altro gran giorno: un principesco abito bianco, accanto a un smoking impeccabile per coronare quel lieto finale che tutti ben conosciamo: e vissero per sempre, felici e contenti (e stilosi!).

11.5.15

La signora Vasca e i tre faggi

C'era una volta una Vasca da bagno in ghisa, smaltata di bianco ed esterno verniciato bianco latte. Aveva quattro zampe leonine in ottone lucido e se ne stava accucciata in un vecchio bagno piastrellato di verde. Sopra di lei, le piastrelle erano state dipinte e un grande bosco lussureggiante allietava gli ospiti della signora Vasca da bagno.
Gli ospiti erano diversi: un bambino rosa e piccolissimo, che entrava da lei in compagnia di un'anitra galleggiante. Una bambina dai boccoli di rame e dalla pelle bianca quanto lo smalto della signora Vasca. Un vecchio barbuto e bruno, pieno di rughe e pieno di motivi di cui lamentarsi. Una donna robusta che lavava se stessa e il bambino, oltre alla signora Vasca che, per questo, le era molto grata. Un bambino sempre sporco di terra, erba e patacche di marmellata rinsecchita. 
La signora Vasca era stanca e demotivata. Non le bastava più ascoltare le canzoni dei suoi ospiti, i monologhi che tenevano fingendo le situazioni più Assurde. Lei voleva andarsene. Una mattina mentre la donna robusta spazzava il pavimento realizzò un qualcosa di fenomenale: lei aveva i piedi. Subito stiracchiò le sue zampette in ottone, si pompò di coraggio e bolle e proclamò solennemente: io partirò! 
La signora Vasca si mise in viaggio e attraversò dapprima il corridoio, quindi le scale ed infine la strada. Era nel mondo. Davanti a lei una stradina portava a un bosco proprio come quello delle piastrelle! Si mise in cammino e per giorni vide alberi, salutò ruscelli, incontrò animali e ne portò qualcuno con sé. Una volpe dalla coda lunga e voluminosa fece un tratto di strada con lei e, con la scusa di guidarla verso il bosco delle piastrelle, scroccò un passaggio gratis al suo interno. 
Dopo giorni di cammino la signora Vasca era esausta e decise di fermarsi. Era giunta su una collina dove, tre imponenti alberi la fissavano ombrosi. Il primo, quello a sinistra, le guardava i piedi. Il secondo stava cantando e non sembrava non aver fatto caso a lei. Il terzo le chiese chi fosse. 
- Buongiorno, io sono Vasca, voi chi siete? - sussurrò timida.
- Noi siamo i tre Faggi - rispose il terzo - Che ci fai qui? - continuò.
- Sono partita per un viaggio, per trovare un bosco che era dipinto a casa mia e che mi sembrava bellissimo, poi una volpe...
- Non puoi stare qui. C'è spazio solo per noi. - Disse il primo Faggio, quello che le aveva guardato i piedi.
La Vasca guardò la collina: non era poi tanto piccola. Il primo Faggio sembrò capire i suoi pensieri e si fece minaccioso, gracchiando che non poteva restare in quel luogo e che senza un permesso avrebbe dovuto sloggiare. Lei guardò implorante gli altri due, ma uno se ne stava intento a cantare e l'altro distolse lo sguardo. La Vasca non sapeva dove andare. Si trovava in un luogo lontano da casa, c'era un'aria di pioggia e cominciava ad avere paura. Era sola. Decise di tornare un pochino indietro sul sentiero, forse nel bosco avrebbe trovato riparo. Iniziò a piovere e le venne da piangere, ma tirò su con il suo tubo/naso e trattenne le lacrime. Aveva voluto partire e doveva sapere che qualcosa poteva andare storto! Non poteva e non voleva piangere, lei era una vasca adulta. In quel momento, qualcosa di un azzurro indescrivibile brillò fra gli alberi. Ancora accecata da quel bagliore, quando riuscì a vedere qualcosa, non poté credere ai suoi rubinetti: era un Elfo dell'ordine stellare di Wlonc. Era bellissimo. Una figura snella e alta, indossava un abito azzurrissimo con rifinitura dorate e il suo incarnato perfetto sembrava risplendere nella notte. I suoi occhi erano ancora più azzurri dell'azzurro e davvero erano luminosi! La Vasca restò impietrita e l'Elfo la accarezzò, dicendo:
- Non temere amica. Qui nel bosco la vita è dura e i suoi abitanti temono ciò che non conoscono. Ecco perché non hanno saputo accoglierti. Ho qui il permesso per restare sulla collina, se è quello il posto che ti piace, potresti lavorare come abbeveratoio per i miei pony e avresti le serate libere per cacciare le stelle e i sogni. Cosa ne pensi? -
La Vasca non stava più nella sua vernice e accettò la proposta felice come una doccia all'aperto! Come il sapone che scivola sul pavimento, come le bolle che scappano nell'aria! Aveva un suo posto e aveva un lavoro. Poteva guadagnarsi da vivere e inseguire le sue passioni quando era libera. Dopo qualche tempo, persino i tre Faggi diventarono suoi amici e molti furono i pomeriggi trascorsi a chiacchierare delle grandi Domande con loro. Oggi la Vasca è ripartita per un nuovo viaggio e di lei si sono perse le tracce. Per ricordarla, i Pony eressero un monumento attorno al suo posto, che ancora oggi domina la collina dei tre Faggi.







4.5.15

La bambina tempesta

C'era una volta, in una verde vallata, un super eroe creatore. Si chiamava SuperPipú. SuperPipú era il creatore della corrente elettrica, perché volando, installava tutti i pali della corrente lungo le coste delle montagne, garantendo a tutta la Valle la luce, anche fino a tarda notte, per leggere tutti i libri del mondo.
Un giorno SuperPipú volava sopra uno dei villaggi e vide qualcosa che lo attirò subito: una pasticceria. Dovete sapere che SuperPipú era molto goloso perciò, senza esitare, volò a terra e quando stava per atterrare, finì addosso a qualcuno. Bum! Era andato a sbattere contro laFata del Burro. La Fata del Burro lavorava nella Pasticceria e consegnava i dolci in bici da corsa: servizio espresso in tutta la valle! Fu amore a prima vista. 
SuperPipú e la fata del Burro si sposarono e continuarono a vivere felici nella valle. Fecero tre bellissimi bambini pestiferi e una bellissima bambina che aveva poteri magici come SuperPipú: era la bambina tempesta.
La bimba era buona e bellissima, ma farla arrabbiare poteva essere pericoloso perché le sue lacrime miste al l'elettricità di SuperPipú facevano scoppiare i temporali! Quelli estivi che fanno un sacco di tuoni e lampi. La bambina tempesta aveva paura dei suoi temporali e si nascondeva per giorni o almeno fino a quando fosse stata sicura che i tuoni fossero finiti. Un giorno la bambina tempesta se ne stava tranquilla in giardino, quando i suoi fratelli le fecero uno scherzo. Oltre che dei temporali, la bambina tempesta temeva i MAGGIOLINI. Quei teppistelli dei suoi fratelli, legarono una famiglia di maggiolini lucenti con del filo da pesca e cominciarono a farli svolazzare addosso alla bambina tempesta. Questa pianse e poi si arrabbiò scatenando un temporale nero come la notte, con tuoni fragorosi come una mandria di bufali in corsa e con lampi brillanti e lucenti. Questa volta anche i suoi fratelli si spaventarono, tanto da smetterla di farla arrabbiare.
Da quel giorno la bambina tempesta controllò la sua rabbia e scatenò solo qualche leggero piovasco e solo raramente qualche temporale. Almeno fino a quando anche lei diventò mamma della bambina che corre.
Ma questa, è un'altra storia.

PS- Buon compleanno Mamma! 


30.4.15

La ballerina venuta dal cielo

Il vecchio Museo se ne stava chiuso già da un po', addormentato sotto la polvere dei lavori di restauro, sotto la neve di due inverni o più e sotto i pensieri della gente, che ormai l'aveva dimenticato. Qualche anno prima, infatti, la direttrice aveva deciso di rinnovare tutto il Museo: riverniciatura delle persiane, sostituzione dei coppi ammaccati, restauro degli affreschi, pulizia dei marmi, ecc. ecc. Da allora il Museo era stato chiuso.
La divina direttrice. La super direttrice. La sua parola era legge, persino il Sindaco non osava contraddirla. Il Rottweiler, così la chiamavano tutti segretamente, era una donna di mezza età, robusta e altera. Fitti capelli corvini le inquadravano il viso in un caschetto preciso e dei sottili occhiali dorati le incorniciavano gli occhi piccoli e vispi. Conosceva ogni tela e ogni altra opera del suo Museo o, più precisamente, conosceva tutte le opere del mondo! Vestiva sempre di nero e si avvolgeva in grandi sciarpe di tessuti pregiati dai colori intensi, che venivano da mondi lontani. Si portava sempre appresso una borsona a tracolla piena di documenti segretissimi e non parlava mai con nessuno. Impartiva ordini, a tutti.  
Fra i suoi collaboratori, la sua esile segretaria era quella che più doveva sopportare, capire, eseguire e correre di qua e di là per fare, in fretta e furia, tutto ciò che il Rottweiler abbaiava di fare. Emhhhh! Non abbaiava, diceva! Lucina era sottile come un insetto stecco, un viso lungo e lisci capelli color castagna. La sua figura snella sembrava fatta apposta per scattare agli ordini della direttrice e il suo temperamento delicato e paziente era il solo che potesse sopportare lo sbraitare asciutto e severo della direttrice. Quando veniva ripresa per qualcosa (e questo includeva ritardi di un solo minuto, dimenticanze della stessa direttrice e altre cose assurde) Lucina arrossiva, abbassando lo sguardo a terra, sistemandosi i capelli dietro le orecchie e aggiungendo infine: "Mi scusi signora, non accadrà mai più". 
Un giorno, mentre sul cantiere regnava il gelo più assoluto per la visita del Rottweiler seguita a ruota da Lucina, si presentò per un colloquio un tale che cercava lavoro. In realtà non si stava cercando proprio nessuno e questa comparsata infastidì molto la direttrice, seccata dall'interruzione così inopportuna di Lucina che l'avvisava di questo tizio. 
- Chi diavolo è? Sai bene che non avevo appuntamenti in agenda, dammi quindi una buona ragione per cui dovrei incontrare questo arrivista
Arrivista. Ora, signori bambini, arrivista è sicuramente una parola difficile e qui usata senza motivo. 

> Un arrivista è colui che venderebbe la propria mamma per raggiungere il successo e i suoi obiettivi, una persona che vede nella propria realizzazione e nella propria felicità la sua unica ragione di vita. Un arrivista è in realtà una persona molto sola. Abbiatene compassione, signori bambini e scusate l'interruzione. <

- Signora mi scusi, l'arrivista, ehm, volevo dire, il signore che è venuto per incontrarla dice di chiamarsi Gianni.
- Lucina sono perplessa e inorridisco davanti al tuo pressapochismo. Come puoi essere così poco precisa nel presentarmi un inutile arrivista che viene a disturbarmi?? Come potrei mai sapere chi sia un Gianni senza un cognome? Per tutte le cornici, tutti hanno un cognome! Qual è il suo?!
- Si signora, mi scusi. Ecco, il cognome di questo Sig. Gianni è... - Lucina non sapeva come pronunciare quel nome, senza scatenare l'ira del Rottweiler - Ecco, dice di chiamarsi Sig. Arlecchino!
- Fallo entrare.
- Scusi?
- Sei sorda? Fal-lo en-tra-re - abbaiò il Rottweiler scandendo ogni sillaba.
Il Sig. Gianni Arlecchino era un individuo strano. Portava un berretto nero, stretti jeans un po' strappati e una giacca a quadretti color verde-bruco e bordeaux-scialle-della-nonna. Aveva uno strano modo di camminare, come se molleggiasse e una parlata beffarda, sorniona che sembrava prendere in giro chiunque. Lucina arrossì, abbassò lo sguardo e sistemò le ciocche di capelli fuggiasche dietro le orecchie, facendo strada a quel signore fino all'ufficio della direttrice. Lo lasciò sulla porta e lei gli disse di entrare. Nessuno seppe mai cosa si dissero.
Il giorno seguente, il cantiere attaccò a sbuffare di mattina presto. Arlecchino si presentò alle 10, con stuzzicadenti in bocca e un libro con mille orecchie in una delle tasche sformate della giacca. Era un manuale di vita, così lo definì lui. Gli altri leggevano soltanto "POESIE" di chi, non se ne interessò nessuno. Arlecchino svolazzava qua e là per il cantiere, appiccicando nastri colorati con del biadesivo e canticchiando, scattava fotografie con il suo telefonino, prendeva misure con un metro-scimmia estendibile e sorrideva compiaciuto. Un giorno si presentò con un soffiatore, a cui fissò un sacchetto di coriandoli bianchi e ridacchiando ne gettò ovunque.
I giorni trascorsero, la neve si sciolse, l'erba crebbe e poi seccò. Le foglie caddero stanche e fragili, cullate da un vento sempre più sottile e pungente. La neve coprì ancora ogni cosa e infine, l'erba tornò perché questo era il volere del Tempo.
La fine dell'inverno segnò una svolta decisiva nei lavori al cantiere del Museo. I giornali e le tv si accalcarono ai cancelli per rubare un'intervista o una semplice abbaiata alla direttrice, ma questa escogitò un percorso alternativo, nessuno seppe mai quale, per entrare nel Museo senza essere disturbata da microfoni e fotocamere indiscrete. La riapertura del Museo era vicina. La direttrice era sempre più nervosa, aveva rimproveri per tutti. Tranne uno. Cominciarono ad arrivare grandi casse bianche, trasportate su furgoni blindati. Una sfilata di cubi che se ne andavano dalla piazza fino alle porte del Museo, in un lento susseguirsi di passi. Erano le opere che tornavano a casa. Dentro alle casse, i quadri non stavano più nelle loro cornici! Finalmente a casa, finalmente ancora nelle sale, ben illuminate, ma soprattutto, ammirate. Che bello era avere tutti quegli occhi addosso! L'emozione più bella dopo quella provata quando vennero disegnate, scolpite, spennellate e rifinite dai loro padri: gli artisti. Tutti quegli occhi lì per loro, ancora una volta. Che gran festa per il Museo! E così doveva essere, Una grande festa per celebrare la riapertura, il risveglio del Museo dopo anni di sonno profondo. Nessuno però immaginava che la festa potesse essere così. Né che qualcosa di straordinario potesse accadere proprio in città...

Il giorno della riapertura cadde in una tiepida giornata di Aprile. Gli alberi della piazza erano carichi di foglie, l'aria tiepida portava con sé profumi di pane, dal forno in fondo alla strada, di pasticcini fragranti e anche un aroma intenso di caffè, quello del bar sull'angolo. Il Sig. Ortivivi aveva esposto le sue piante più belle fuori dal suo negozio di fiori e le gallerie d'arte avevano preparato stuzzichini per tutti i curiosi. La via era bella, viva, piena di musica e parole. La gente cominciò ad arrivare da ogni direzione: bambini, famiglie, nonni e maestre dagli occhiali a farfalla, giovani coppie ingenuamente innamorate, appassionati, giornalisti, fotografi e passanti. Tutti gli occhi erano puntati sulla facciata ripulita del Museo, dove spiccava il grande orologio. Nel cortile d'ingresso, impettiti, se ne stavano il Sindaco, il Rottweiler e altre personalità pompose e irrigidite nelle loro uniformi, divenute un po' troppo strette. Una musica attirò l'attenzione e tutti restarono in silenzio, da una finestra apparve lui: Arlecchino. Aveva un bellissimo costume e una maschera scura gli copriva il viso. Accoglieva la gente e invitava tutti nella Casa dei Quadri urlando in un megafono! Le altre finestre si aprirono e come giocolieri, altri arlecchini si calarono con le corde colorate, continuando a muoversi come marionette. Era come assistere a un grande spettacolo di burattini. Gli occhi erano sgranati e ad ogni azione le bocche si spalancavano di stupore. A un tratto, una foresta di grandissimi palloncini si alzò davanti alla facciata, danzando su e giu a ritmo di musica. Una bellissima melodia di archi a scandire il loro lento e fluido movimento. Era quasi il momento del grande spettacolo, quello che aveva stupito e convinto il Rottweiler quando Arlecchino si era presentato per proporle di seguire l'organizzazione della festa. Ma mentre tutti godevano dello spettacolo, all'interno del Museo qualcosa non stava funzionando...

- Come sarebbe, si è rotta una caviglia?? I-m-p-o-s-s-i-b-i-l-e! - ruggì la direttrice.
- Signora, vede, il suo numero era in effetti molto pericoloso e sembra che nella prima fase di vol..
- Non è possibile! Non qui! Devi aggiustarle la caviglia!
Lucina azzardò una risposta, ma il Rottweiler divenne una furia. Non poteva controllarsi e tanta rabbia era dovuta al non sapere come risolvere quella situazione. Arlecchino aveva puntato tutto su quel numero, avrebbe lasciato tutti di stucco: altro che sala delle statue! Ma ora l'artista che avrebbe dovuto interpretare il ruolo principale se ne stava sdraiata e sdolorante in attesa dell'ambulanza. Arlecchino era tranquillo e quando, nel trambusto generale, fischiò con decisione tutti si voltarono ammutoliti.
- Non c'è nessun problema - proferì ancora con la maschera sul volto.
Si avvicinò a Lucina, le prese la mano e con un inchino la baciò. Quella divenne paonazza e il rossore giunse fino alle orecchie dove, inutilmente, cercava di far restare le sue solite ciocche di capelli castani.
- Sarai tu la ballerina. - Disse la maschera.
Nessuno aggiunse niente. Nessuno.
Così, nel cortile, senza che nessuno si potesse accorgere di nulla, lo spettacolo continuò. Quando gli artisti vestiti da bianche statue di marmo si aggrapparono alla cancellata del Museo e quando la musica si fece più intensa, tutti sollevarono lo sguardo perché un grande, grandissimo grappolo di palloncini bianchi volava sui tetti delle case vecchie sorreggendo la figura esile di una ballerina. Le braccia sottili della figura disegnavano danze nel cielo nero. Leggera giunse sopra la cancellata e salutò il suo Arlecchino, davanti agli occhi increduli della città meravigliata. Una notte di stelle chiuse il sipario sul cielo e aprì le porte del Museo... Ogni opera risplendeva nella sua cornice, grazie ai colori ritrovati, ogni sala profumava di nuovo e una bella luce illuminava tutto come mai prima. I ritratti ordinati osservavano i primi visitatori curiosi, dai loro scranni preziosi e bellissime Madonne rivolgevano i loro dolci sorrisi ai più attenti. Una fiumana di gente, passi e occhi invase ogni sala, osservò ogni cambiamento e apprezzò ogni lavoro. Lo spettacolo era compiuto. In una notte di Primavera, il Museo era tornato alla sua città, alla sua gente. La casa dei quadri era stata riaperta per accogliere tutti i visitatori, invitandoli a scrutare nelle tele, a scoprirne i segreti creando quel dialogo nel tempo che lega ogni pittore ai suoi spettatori di ora e di sempre. Signori bambini, riapre il Museo, che la magia abbia inizio.

Che ne sarà stato dei nostri amici? Beh, Arlecchino se ne ripartì subito con il suo fagotto e con il suo libro di POESIA, verso chissà quale meta seguendo chissà quale rotta. Il Rottweiler divenne ancora più potente e influente in città, ma non si sa bene per quale motivo, iniziò persino a rivolgere qualche saluto e qualche parola alla gente, evitando, ma solo a volte, di abbaiargli contro. E Lucina? Potremmo pensare che sia partita con il romantico Arlecchino? Oppure che sia rimasta al suo posto, accanto alla magnifica direttrice? O ancora, che sia diventata una famosa ballerina?
Signori Bambini, la storia non ha fine, ma accende una nuova storia. A voi la scelta.