Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

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30.4.15

La ballerina venuta dal cielo

Il vecchio Museo se ne stava chiuso già da un po', addormentato sotto la polvere dei lavori di restauro, sotto la neve di due inverni o più e sotto i pensieri della gente, che ormai l'aveva dimenticato. Qualche anno prima, infatti, la direttrice aveva deciso di rinnovare tutto il Museo: riverniciatura delle persiane, sostituzione dei coppi ammaccati, restauro degli affreschi, pulizia dei marmi, ecc. ecc. Da allora il Museo era stato chiuso.
La divina direttrice. La super direttrice. La sua parola era legge, persino il Sindaco non osava contraddirla. Il Rottweiler, così la chiamavano tutti segretamente, era una donna di mezza età, robusta e altera. Fitti capelli corvini le inquadravano il viso in un caschetto preciso e dei sottili occhiali dorati le incorniciavano gli occhi piccoli e vispi. Conosceva ogni tela e ogni altra opera del suo Museo o, più precisamente, conosceva tutte le opere del mondo! Vestiva sempre di nero e si avvolgeva in grandi sciarpe di tessuti pregiati dai colori intensi, che venivano da mondi lontani. Si portava sempre appresso una borsona a tracolla piena di documenti segretissimi e non parlava mai con nessuno. Impartiva ordini, a tutti.  
Fra i suoi collaboratori, la sua esile segretaria era quella che più doveva sopportare, capire, eseguire e correre di qua e di là per fare, in fretta e furia, tutto ciò che il Rottweiler abbaiava di fare. Emhhhh! Non abbaiava, diceva! Lucina era sottile come un insetto stecco, un viso lungo e lisci capelli color castagna. La sua figura snella sembrava fatta apposta per scattare agli ordini della direttrice e il suo temperamento delicato e paziente era il solo che potesse sopportare lo sbraitare asciutto e severo della direttrice. Quando veniva ripresa per qualcosa (e questo includeva ritardi di un solo minuto, dimenticanze della stessa direttrice e altre cose assurde) Lucina arrossiva, abbassando lo sguardo a terra, sistemandosi i capelli dietro le orecchie e aggiungendo infine: "Mi scusi signora, non accadrà mai più". 
Un giorno, mentre sul cantiere regnava il gelo più assoluto per la visita del Rottweiler seguita a ruota da Lucina, si presentò per un colloquio un tale che cercava lavoro. In realtà non si stava cercando proprio nessuno e questa comparsata infastidì molto la direttrice, seccata dall'interruzione così inopportuna di Lucina che l'avvisava di questo tizio. 
- Chi diavolo è? Sai bene che non avevo appuntamenti in agenda, dammi quindi una buona ragione per cui dovrei incontrare questo arrivista
Arrivista. Ora, signori bambini, arrivista è sicuramente una parola difficile e qui usata senza motivo. 

> Un arrivista è colui che venderebbe la propria mamma per raggiungere il successo e i suoi obiettivi, una persona che vede nella propria realizzazione e nella propria felicità la sua unica ragione di vita. Un arrivista è in realtà una persona molto sola. Abbiatene compassione, signori bambini e scusate l'interruzione. <

- Signora mi scusi, l'arrivista, ehm, volevo dire, il signore che è venuto per incontrarla dice di chiamarsi Gianni.
- Lucina sono perplessa e inorridisco davanti al tuo pressapochismo. Come puoi essere così poco precisa nel presentarmi un inutile arrivista che viene a disturbarmi?? Come potrei mai sapere chi sia un Gianni senza un cognome? Per tutte le cornici, tutti hanno un cognome! Qual è il suo?!
- Si signora, mi scusi. Ecco, il cognome di questo Sig. Gianni è... - Lucina non sapeva come pronunciare quel nome, senza scatenare l'ira del Rottweiler - Ecco, dice di chiamarsi Sig. Arlecchino!
- Fallo entrare.
- Scusi?
- Sei sorda? Fal-lo en-tra-re - abbaiò il Rottweiler scandendo ogni sillaba.
Il Sig. Gianni Arlecchino era un individuo strano. Portava un berretto nero, stretti jeans un po' strappati e una giacca a quadretti color verde-bruco e bordeaux-scialle-della-nonna. Aveva uno strano modo di camminare, come se molleggiasse e una parlata beffarda, sorniona che sembrava prendere in giro chiunque. Lucina arrossì, abbassò lo sguardo e sistemò le ciocche di capelli fuggiasche dietro le orecchie, facendo strada a quel signore fino all'ufficio della direttrice. Lo lasciò sulla porta e lei gli disse di entrare. Nessuno seppe mai cosa si dissero.
Il giorno seguente, il cantiere attaccò a sbuffare di mattina presto. Arlecchino si presentò alle 10, con stuzzicadenti in bocca e un libro con mille orecchie in una delle tasche sformate della giacca. Era un manuale di vita, così lo definì lui. Gli altri leggevano soltanto "POESIE" di chi, non se ne interessò nessuno. Arlecchino svolazzava qua e là per il cantiere, appiccicando nastri colorati con del biadesivo e canticchiando, scattava fotografie con il suo telefonino, prendeva misure con un metro-scimmia estendibile e sorrideva compiaciuto. Un giorno si presentò con un soffiatore, a cui fissò un sacchetto di coriandoli bianchi e ridacchiando ne gettò ovunque.
I giorni trascorsero, la neve si sciolse, l'erba crebbe e poi seccò. Le foglie caddero stanche e fragili, cullate da un vento sempre più sottile e pungente. La neve coprì ancora ogni cosa e infine, l'erba tornò perché questo era il volere del Tempo.
La fine dell'inverno segnò una svolta decisiva nei lavori al cantiere del Museo. I giornali e le tv si accalcarono ai cancelli per rubare un'intervista o una semplice abbaiata alla direttrice, ma questa escogitò un percorso alternativo, nessuno seppe mai quale, per entrare nel Museo senza essere disturbata da microfoni e fotocamere indiscrete. La riapertura del Museo era vicina. La direttrice era sempre più nervosa, aveva rimproveri per tutti. Tranne uno. Cominciarono ad arrivare grandi casse bianche, trasportate su furgoni blindati. Una sfilata di cubi che se ne andavano dalla piazza fino alle porte del Museo, in un lento susseguirsi di passi. Erano le opere che tornavano a casa. Dentro alle casse, i quadri non stavano più nelle loro cornici! Finalmente a casa, finalmente ancora nelle sale, ben illuminate, ma soprattutto, ammirate. Che bello era avere tutti quegli occhi addosso! L'emozione più bella dopo quella provata quando vennero disegnate, scolpite, spennellate e rifinite dai loro padri: gli artisti. Tutti quegli occhi lì per loro, ancora una volta. Che gran festa per il Museo! E così doveva essere, Una grande festa per celebrare la riapertura, il risveglio del Museo dopo anni di sonno profondo. Nessuno però immaginava che la festa potesse essere così. Né che qualcosa di straordinario potesse accadere proprio in città...

Il giorno della riapertura cadde in una tiepida giornata di Aprile. Gli alberi della piazza erano carichi di foglie, l'aria tiepida portava con sé profumi di pane, dal forno in fondo alla strada, di pasticcini fragranti e anche un aroma intenso di caffè, quello del bar sull'angolo. Il Sig. Ortivivi aveva esposto le sue piante più belle fuori dal suo negozio di fiori e le gallerie d'arte avevano preparato stuzzichini per tutti i curiosi. La via era bella, viva, piena di musica e parole. La gente cominciò ad arrivare da ogni direzione: bambini, famiglie, nonni e maestre dagli occhiali a farfalla, giovani coppie ingenuamente innamorate, appassionati, giornalisti, fotografi e passanti. Tutti gli occhi erano puntati sulla facciata ripulita del Museo, dove spiccava il grande orologio. Nel cortile d'ingresso, impettiti, se ne stavano il Sindaco, il Rottweiler e altre personalità pompose e irrigidite nelle loro uniformi, divenute un po' troppo strette. Una musica attirò l'attenzione e tutti restarono in silenzio, da una finestra apparve lui: Arlecchino. Aveva un bellissimo costume e una maschera scura gli copriva il viso. Accoglieva la gente e invitava tutti nella Casa dei Quadri urlando in un megafono! Le altre finestre si aprirono e come giocolieri, altri arlecchini si calarono con le corde colorate, continuando a muoversi come marionette. Era come assistere a un grande spettacolo di burattini. Gli occhi erano sgranati e ad ogni azione le bocche si spalancavano di stupore. A un tratto, una foresta di grandissimi palloncini si alzò davanti alla facciata, danzando su e giu a ritmo di musica. Una bellissima melodia di archi a scandire il loro lento e fluido movimento. Era quasi il momento del grande spettacolo, quello che aveva stupito e convinto il Rottweiler quando Arlecchino si era presentato per proporle di seguire l'organizzazione della festa. Ma mentre tutti godevano dello spettacolo, all'interno del Museo qualcosa non stava funzionando...

- Come sarebbe, si è rotta una caviglia?? I-m-p-o-s-s-i-b-i-l-e! - ruggì la direttrice.
- Signora, vede, il suo numero era in effetti molto pericoloso e sembra che nella prima fase di vol..
- Non è possibile! Non qui! Devi aggiustarle la caviglia!
Lucina azzardò una risposta, ma il Rottweiler divenne una furia. Non poteva controllarsi e tanta rabbia era dovuta al non sapere come risolvere quella situazione. Arlecchino aveva puntato tutto su quel numero, avrebbe lasciato tutti di stucco: altro che sala delle statue! Ma ora l'artista che avrebbe dovuto interpretare il ruolo principale se ne stava sdraiata e sdolorante in attesa dell'ambulanza. Arlecchino era tranquillo e quando, nel trambusto generale, fischiò con decisione tutti si voltarono ammutoliti.
- Non c'è nessun problema - proferì ancora con la maschera sul volto.
Si avvicinò a Lucina, le prese la mano e con un inchino la baciò. Quella divenne paonazza e il rossore giunse fino alle orecchie dove, inutilmente, cercava di far restare le sue solite ciocche di capelli castani.
- Sarai tu la ballerina. - Disse la maschera.
Nessuno aggiunse niente. Nessuno.
Così, nel cortile, senza che nessuno si potesse accorgere di nulla, lo spettacolo continuò. Quando gli artisti vestiti da bianche statue di marmo si aggrapparono alla cancellata del Museo e quando la musica si fece più intensa, tutti sollevarono lo sguardo perché un grande, grandissimo grappolo di palloncini bianchi volava sui tetti delle case vecchie sorreggendo la figura esile di una ballerina. Le braccia sottili della figura disegnavano danze nel cielo nero. Leggera giunse sopra la cancellata e salutò il suo Arlecchino, davanti agli occhi increduli della città meravigliata. Una notte di stelle chiuse il sipario sul cielo e aprì le porte del Museo... Ogni opera risplendeva nella sua cornice, grazie ai colori ritrovati, ogni sala profumava di nuovo e una bella luce illuminava tutto come mai prima. I ritratti ordinati osservavano i primi visitatori curiosi, dai loro scranni preziosi e bellissime Madonne rivolgevano i loro dolci sorrisi ai più attenti. Una fiumana di gente, passi e occhi invase ogni sala, osservò ogni cambiamento e apprezzò ogni lavoro. Lo spettacolo era compiuto. In una notte di Primavera, il Museo era tornato alla sua città, alla sua gente. La casa dei quadri era stata riaperta per accogliere tutti i visitatori, invitandoli a scrutare nelle tele, a scoprirne i segreti creando quel dialogo nel tempo che lega ogni pittore ai suoi spettatori di ora e di sempre. Signori bambini, riapre il Museo, che la magia abbia inizio.

Che ne sarà stato dei nostri amici? Beh, Arlecchino se ne ripartì subito con il suo fagotto e con il suo libro di POESIA, verso chissà quale meta seguendo chissà quale rotta. Il Rottweiler divenne ancora più potente e influente in città, ma non si sa bene per quale motivo, iniziò persino a rivolgere qualche saluto e qualche parola alla gente, evitando, ma solo a volte, di abbaiargli contro. E Lucina? Potremmo pensare che sia partita con il romantico Arlecchino? Oppure che sia rimasta al suo posto, accanto alla magnifica direttrice? O ancora, che sia diventata una famosa ballerina?
Signori Bambini, la storia non ha fine, ma accende una nuova storia. A voi la scelta.