Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

Pagine

4.11.16

Ueli - L'uomo che correva contro il vento

C'era una volta il Sig. Ueli, l'uomo più veloce del mondo nello scalare le grandi pareti delle vecchie e stanche montagne. Viveva in una piccola casa, con una grande finestra da cui scrutare i crinali e le vette con i suoi occhi color del ghiaccio, pieni di curiosità e voglia di avventura. Da qui, sceglieva le pareti da scalare e, sempre con lo stesso entusiasmo, si lanciava nella sua corsa verso l'alto, tastando le rocce, per trovare gli appigli più sicuri.
Dal sito ufficiale http://www.uelisteck.ch/
Correva, sicuro e preciso in ogni movimento, sfidando il vento che soffiava forte contro la parete, cercando di raggiungere la cima più in fretta delle sue raffiche. Una volta lassù, Ueli e il vento se la ridevano insieme, come vecchi amici. Il vento raccontava vecchie storie di montagna e Ueli lo ascoltava soddisfatto.

Un giorno, durante una delle sue corse contro il vento, quello si fermò in un diedro e lo interrogò:
- Piccolo uomo, chi ti ha portato sulle rocce? E' tanto che ti vedo scalar montagne e correre sulle vette - sussurrò il vento in un fischio.
Ueli si guardò attorno e vide il vento arrotolarsi su se stesso, fra le due pareti di roccia.
- E' da quando sono bambino che vengo quassù, avevo 12 anni. Un amico di mio padre mi fece conoscere la montagna e da bambini non si pensa molto al perché delle cose: si fa semplicemente ciò che piace. E arrampicare mi piaceva. 
- Perché vieni quassù da solo? Stai scappando dalla tua realtà? - chiese il vento.
- Che cos'è la realtà? E' ciò che qualcuno sceglie e io scelgo di venire qui. Non sono solo, sono qui con te, infatti stiamo chiacchierando. Mi piace stare in mezzo alla gente, ma quando vengo qui, non mi sento mai solo, anche se non mi accompagna nessuno. La montagna diviene il mio compagno per scalare e non ci devo mai discutere, sai? - disse Ueli con un sorriso. 
- Cerchi avventura? Gloria? - incalzò il vento, sempre diffidente verso gli uomini. 
Ueli sorrise e i suoi occhi di ghiaccio brillarono. - L'avventura è semplicemente ciò che non possiamo prevedere. Non si può cercare. 

Ueli e il vento restarono ancora un po' a chiacchierare, poi, il vento si stancò delle parole e se ne andò. Ueli guardò in alto, sorrise. Poi riprese a correre, veloce, verso valle, verso casa. 
L'orco della grande montagna appuntita sorrise e nel silenzio, risuonò piano per Ueli.


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Per scoprire l'Eiger, la montagna-orco, potete organizzare la vostra gita qui, senza fare corse contro il vento, ma arrivando direttamente in parete, nella comoda carrozza di un treno!

12.10.16

IMS16: Nives e Romano, insieme si scala ogni montagna



C’era una volta una grande montagna candida e tranquilla.
Se ne stava appollaiata tra il Nepal e l’India e trascorreva la maggior parte del suo tempo, sorseggiando te di Darjeeling. Da lontano, in una piccola casa vicino alle Alpi Giulie, qualcuno sogna di conquistarne la vetta…

Inizia così la storia di Nives e Romano, una coppia di alpinisti che non ha perso la loro curiosità infantile diventando grandi.
Le loro avventure sulle montagne più alte del mondo hanno reso Nives una delle poche donne alla conquista delle 14 vette che superano gli 8000 m sul livello del mare. Le loro ascese sono in stile alpino, cioè senza l’uso di ossigeno – a simili altitudini l’aria è povera di questo componente essenziale al corpo umano, quindi si fa molta più fatica a fare qualsiasi cosa – e senza servirsi di portatori, vale a dire persone del posto, pagate per il trasporto dei materiali e dei bagagli.

Si tratta di Nives e Romano, una coppia di alpinisti che, giorno dopo giorno, sognano la vetta della montagna, risparmiando il denaro necessario per il lungo viaggio, i permessi per la salita e tutto il costoso materiale per affrontare una montagna così grande. Il Kangchenjunga resta impassibile, incurante dei piccoli progetti degli umani. Finalmente, Nives e Romano possono fissare la data per la salita e partire per il loro viaggio di scoperta e conquista.

Romano, guida alpina, ma soprattutto traino della cordata – il gruppo di alpinisti che affronta insieme un’ascesa – durante la salita è costretto a fermarsi: non si sente bene. Nives, ormai vicina a completare tutte le salite delle montagne più alte come prima donna, decide di rinunciare alla vetta e restare con lui. Nives non rinuncia a una semplice cima, ma a un record e a tutti i benefici che questo potrebbe significare.

La storia di Nives e Romano insegna il valore della pazienza, così come dell’amicizia. Più della fama, della gloria, per Nives conta il bene che vuole a Romano. Per lei è più importante salire insieme, piuttosto che salire e basta. Saper aspettare non è facile, ma lei sa che iI Kangchenjunga resta lì e li attenderà al prossimo tentativo. Tuttavia, essere così vicini  alla vetta e rinunciare costa tanta fatica e questa prova, più di tutte le altre scalate, dimostra la forza interiore di questa donna. 
Nives sa aspettare e rispettare il suo compagno di avventura e questo li ripagherà: torneranno dalla montagna il 17 maggio 2014 e raggiungeranno la vetta insieme, come hanno sempre fatto. 



IMS.Youth.camp ha raccontato questa storia a 1.500 studenti delle scuola primaria e secondaria della zona di Euregio, nel contesto dell’edizione 2016 dell’International Mountain Summit. Il tema di questa edizione affronta il rapporto tra uomo e montagna, intesa anche come montagna interiore. Malattia e rinuncia divengono quindi centrali e motivo di riflessione per i ragazzi coinvolti in questa esperienza e chiamati a confrontarsi sui propri obiettivi e sul superamento dei loro limiti interiori. 

La storia di Nives e Romano è raccontata nell'appassionante libro di Nives Meroi Non ti farò aspettare






7.10.16

Compito: disegna una montagna

Un giorno la maestra ci chiese di disegnare una bella MONTAGNA con un paesaggio alpino. 

Contento, presi carta e matita, ispirato dalla gita con mamma e papà della domenica prima. Sul sentiero avevo visto tantissimi alberi di forme diverse e sul sentiero era bellissimo affondare i piedi nei mucchi di FOGLIE colorate e scricchiolanti. Per una volta, sapevo benissimo cosa disegnare. 

Dopo aver tracciato i profili della mia montagna e qualche ciuffo d'erba annoiato e ingiallito, aggiunsi una bella casetta di pietra grigia e sopra scrissi il nome del rifugio

Sulla cima più alta delle 7 vette principali della mia montagna, disegnai un cartello con scritto "1875", l'altezza esatta dove era posta la croce che avevo conquistato con un po' di capricci, ma vi assicuro, anche tanta FATICA. 

Cominciai a colorare il mio disegno di arancione, GIALLO, rossiccio e anche marroncino chiaro e nocciola. 

Soddisfatto, consegnai il mio disegno alla maestra che mi guardò storto, dietro un paio di occhiali talmente spessi da deFoRMaRe i suoi piccoli occhi marroni. Mi disse di non scherzare e di rifare il disegno. E di usare il verde, perché la natura è di quel colore. 
Il Resegon - grande sega - una grande montagna che
divide le valli lecchesi e bergamasche alle sue pendici.

Io NON SCHERZAVO affatto. Durante l'intervallo restai al mio banco e la maestra ERSILIA, che aveva un grembiule bianco con disegnato sopra un asino che portava in groppa un cane con sopra un gatto con un gallo sul dorso, mi chiese cosa non andasse. Le mostrai il disegno e lei esclamò: "GENIALE!" 

Appese il disegno all'ingresso, accanto alla targa della scuola. Qualche giorno dopo, lo mandò persino a un concorso di disegno del CAI. Vinsi il secondo premio e fu uno dei giorni più belli di tutta la scuola! 

Morale: mai fidarsi del giudizio di chi ha gli occhi troppo piccoli. Corrispondono ai loro occhi del CUORE. 
Premio di Orsetti gommosi per la conquista del Resegone

1.10.16

Le montagne nascono d'inverno


C’era una volta, tanto tempo fa, una grande, immensa, sconfinata terra pianeggiante, coltivata a granoturco. File e file di piantine ordinate se ne stavano come in coda per kilometri, fino a dove lo sguardo poteva immaginare l’orizzonte, il posto in cui il sole se ne andava a dormire ogni sera, dopo aver messo il pigiama. 

Quella distesa di terra brulla si nutriva dei caldi raggi del sole, gustandone la luce con pacata lentezza, per non perdere alcun beneficio. Un calmo pasto da consumare per tutto il giorno, fino al tramonto. Tutto quel sole metteva però una gran sete alla terra piatta del campo di granoturco, costringendola a cercare con affanno un po’ di gocce giù e ancor più giù in profondità, sotto le tane buie dei conigli, oltre i depositi di sabbia o argilla, là dove la terra è scura e bagnata. 

Poi, a volte, un fresco temporale dissetava tutto il grande campo. La terra piatta si chiedeva spesso da dove arrivasse tutta quell’acqua un po’ salata e così buona, che viaggiava su vagoni di nuvole grigie e stanche. Le instancabili viaggiatrici del cielo arrivavano compatte e basse e la terra sapeva che di lì a poco la sua sete sarebbe stata placata dal generoso regalo delle amiche di lassù, che raccontavano sempre belle storie, di paesi lontani. 

Spesso, dopo l’andirivieni delle nuvole, arrivava la coltre umida e spessa della nebbia che si accompagnava al primo, temutissimo gelo. Se fosse arrivato troppo presto, il freddo avrebbe messo a dura prova le povere piantine, congelate dalla sua morsa letale. Se fosse arrivato per tempo, il raccolto sarebbe già stato compiuto e il campo avrebbe potuto addormentarsi tranquillo, sotto una morbida coperta di neve bianca. 

La terra piatta poteva allora dormire, riposare e crescere un poco. Perché si sa, le terre piatte sono come i cuccioli che durante il sonno crescono. Così, ogni inverno, la terra piatta del campo cresceva e ogni anno, il suo sguardo poteva arrivare più lontano, vedere le nuvole arrivare dal mare e riposare più a lungo. Mano a mano che si alzava di statura, l’inverno si allungava e nel suo riposo, la terra cresceva compiaciuta. 

Durante le tiepidi estati, la terra non soffriva quasi più la sete, ma si divertiva con il solletico delle mucche e degli alpinisti che la scalavano con grande impegno. La sua erba diveniva più buona, il granoturco cresceva ancora e la terra che era piatta diventava a punta, come un grande triangolo che nascondeva il sole mentre si metteva in pigiama.

Un giorno d’inverno, una bambina guarda la montagna davanti alla sua casa, mentre la mamma le pettina i lunghi capelli biondi prima di andare a scuola. 

“Mamma guarda! La montagna è cresciuta rispetto allo scorso anno!” E la montagna, già protetta dalla prima e ancor leggera coperta di neve, sorrise. 

 


2.9.16

Stracciatella e Nanga Parbat


“Sapeva che sarebbe stato sufficiente aprire gli occhi per tornare alla sbiadita realtà senza fantasia degli adulti.”
- Lewis Carrol - 

Durante le vacanze, mi piace sedermi a leggere sulle panchine del viale nelle ultime ore del pomeriggio: c’è un bel chiacchiericcio e osservare le persone tra una pagina e l’altra è divertente. E’ stato durante uno di questi appostamenti che un bambino con un gelato grosso quanto il suo viso, già sporco di qualche goccia appiccicosa di stracciatella, ha detto a quella che poteva essere la nonna: “Voglio andare sul Nangiaparpad.” Il Nangiaparpad (Sì, Nanga Parbat, ma la versione del bambino cinquenne mi piace) aveva conquistato anche la sua fantasia, come quella di moltissimi altri, anche più grandini rispetto a lui. E lui l'aveva dichiarato, mangiando un gelato alla stracciatella.

Dopo questa esternazione, non ho potuto fare a meno di chiedermi se io ci andrei sul Nangiaparpad e, ovviamente, la prima spontanea risposta sarebbe sicuramente sì. In realtà, però, io non ci posso andare su quella montagna, perché non ho la preparazione per farlo. Sarebbe come se, vedendo un intervento a cuore aperto andato a buon fine, decidessi di volerlo ripetere. Non sono un cardio-chirurgo e tanto meno un alpinista. Tuttavia, ho pensato che la stessa sospesa sensazione di avventura, l’ho provata tante volte nelle mie piccole ascese e in diversi casi è successo a pochi passi da casa, in luoghi che nemmeno pensavo esistessero. Come quando l’Ettore ci ha portati in Val Pagana a vedere quella frana paleolitica di dolomia, i fossili di bivalvi e, con gli occhi sgranati come quelli dei cinquenni, ci siamo messi a immaginare che cosa potesse succedere tanto tempo fa in quello stesso bosco incantato. Un mondo perduto in un tempo passato si presentava davanti ai nostri sguardi sorpresi, conducendoci a perlustrare, guardare, toccare i muschi, le cortecce umide degli alberi, le fessure profonde della roccia nuda e fredda, odorando i profumi di bosco, terra e cielo.

Guardando la stracciatella che colava su quel bambino sognatore, ho pensato che il mio vagabondare preferito accade quando succede qualcosa che proprio non posso prevedere e non importa il dove. Quando ad esempio, invece di tirare dritta per completare le ripetute, guardando in giro mi accorgo di un sentiero mai visto prima e decido di percorrerlo, anche se la traccia è esile e sconosciuta. Quando mi alzo presto la mattina, per correre prima di andare al lavoro e gustare con una luce diversa i sentieri conosciuti da sempre. Quando decido di vivere d’adventura, cioè semplicemente di ciò che accadrà.