Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

Pagine

12.12.13

La vera storia di Santa Lucia

In questa fredda e lunga notte, voglio raccontarvi la storia di Santa Lucia. La conosciamo tutti Santa Lucia, è vero, ma soprattutto per i suoi bellissimi regali, per la chiesina dove portiamo le nostre letterine e per il suo simpatico amico asino. Ma chi era veramente Santa Lucia? La sua storia inizia tanti tanti anni fa, Lucia nasce al caldo di Siracusa in un'importante e ricca famiglia della città. La sua mamma si prende cura di lei e la cresce con amore, educandola alla fede seppur di nascosto. Presto Lucia dovrà prendersi cura della sua mamma malata e grazie alle sue preghiere autentiche riuscirà a farla guarire. Lucia diventa una bella e giovane donna e i suoi pretendenti cominciano a farsi avanti, proponendosi come mariti per lei. Promessa a un giovane, Lucia non si cura di questo e decide di non sposarsi, ma di dedicarsi ai poveri donando tutte le sue ricchezze ai bisognosi della città. Questo gesto umile e generoso farà andare su tutte le furie il suo fidanzato che, scoprendo anche che Lucia è cristiana, la denuncerà facendola arrestare. Durante il processo, Lucia viene più volte invitata a rinnegare la sua fede in onore degli dei romani, ma ferma Lucia si rifiuta convincendo così i suoi persecutori a condannarla a morte. Si racconta che gli aguzzini dovettero impiegare tutte le loro forze per portare via Lucia, divenuta forte e irremovibile non soltanto nella sua fede, ma anche nel suo esile corpo. La leggenda ci racconta che la povera Santa Lucia perse anche i suoi occhi, ma questo non ci viene raccontato nelle storie del suo martirio. Santa Lucia è una figura forte, determinata e decisa. Tutti noi abbiamo da imparare da lei! Non si lascia scoraggiare e non prova paura! Non tiene per sè i suoi giocattoli e le sue cose belle, ma ha il coraggio di regalarle. Ecco cosa farci portare questa sera... Buona Santa Lucia a tutti!

22.5.13

L'impasto impiastro fortunato


La casa dei Salsiccia sorgeva al centro di un bellissimo giardino, ricco di fiori provenienti da ogni parte del mondo. Fiorito 12 mesi all'anno, il giardino nascondeva la casa proteggendola da occhi indiscreti e curiosi incalliti. Certo i Salsiccia non erano i tipi da apprezzare questa caratteristica, tanto che l'esibire il loro stile di vita era una vera priorità per loro, così che il giardino fosse quasi d'impiccio, se non fosse per la bellezza rara e lussureggiante che ben esprimeva la ricchezza della famiglia. Da secoli, la tradizione era macellare e vendere carne. Macellai dall'epoca Feudale, in quella Comunale e nel Rinascimento, persino durante la Guerra, quando la carne scarseggiava e in pochi potevano permettersela, i Salsiccia quasi incomprensibilmente riuscirono a farla franca, guadagnandosi da vivere con la loro attività. Qualcuno parlava di ombrosi legami con i tedeschi, a quanto pare le truppe del Fuhrer facevano grandi scorpacciate di magatello, scaloppe e trippa. Una famiglia antica e chiassosa che abitava una delle case più belle di tutta la città, così lontana dai gusti pomposi della famiglia, forse perché soffiata tanto tempo prima a un concorrente mancellaio, sfinito da una feroce strategia concorrenziale che lo costrinse alla miseria, nonostante l'onesto lavoro di anni.
Si racconta che gli avi dell'attuale sig. Salsiccia iniziarono la loro attività fin dalla preistoria, allevando bestie e macellandone la carne. La conoscenza dei tagli, del perfetto equilibrio tra grasso e gusto si rinforzò con l'esperienza e venne tramandata di generazione in generazione, durante le freddi notti delle pianure, riscaldati dal calore e dal crepitio dei fuochi accesi. L'attuale famiglia si componeva di 7 strampalati elementi: il signor Salsiccia Gustavo, erede di tutta la fortuna e delle tradizioni, sua moglie Antonia, la madre del signor Salsiccia, che amava farsi chiamare Contessa anche se non lo era nè per titolo nè per merito, i tre figlioletti e lo zio Asdubrale, fratello del sig. Salsiccia, un esuberante quanto gaio individuo. Tutti vivevano sotto il tetto della grande villa, come da sempre, anche se la convivenza non era facile. La Contessa era una donna grassa, invadente e sfacciata e questo non favoriva i rapporti con la nuora, la gelida moglie del sig. Salsiccia, rigida e poco disponibile ad ogni sorta di rapporto umano. Il sig. Salsiccia era un misto di tracotante ignoranza e goffaggine, comandato a bacchetta dalle sue donne, totalmente incapace di muovere un passo senza il benestare di una delle due, ma presuntuoso a tal punto da non potersene rendere conto. Infine, Asdrubale, considerato la pecora nera della famiglia, un eccentrico e pittoresco individuo , che stonava con la gaia e inconsapevole rozzezza del resto della famiglia. Era un artista, un filosofo che si estraniava dal mondo e dalla realtà, per rifugiarsi in un mondo tutto suo, noncurante dei rimproveri della contessa, degli sproloqui che il fratello gli indirizzava né tantomeno dell'opinione della gente. Viveva libero da ogni costrizione o etichetta, spontaneamente. Ma ciò che lo rendeva ancor più inaccettabile per la sua famiglia, erano le sue abitudini alimentari. Asdrubale era vegano. No solo non mangiava carne, ma nemmeno i prodotti derivati dagli animali. Ovviamente rifiutò categoricamente anche la professione del macellaio. "Indegno e scellerato", così lo definiva la Contessa.
Fu il pluricentenario di attività a rompere gli equilibri instabili che da secoli tenevano incollata l'ingombrante famiglia (e che da sempre aveva la sua pecora nera...). In quell'occasione, Asdrubale si mostrò stranamente coinvolto nei preparativi della festa e volle in qualche modo mettere del suo nell'organizzazione del grande evento. Pensando e ripensando, si convinse che il miglior modo di partecipare era preparando lo spettacolare antipasto multipiano che da sempre lasciava tutti a bocca spalancata. Ovviamente un antipasto a base di carne che Asdrubale avrebbe rimpiazzato con una delle sue schifezze vegetariane, come diceva la Contessa, non cogliendo dopo tanti anni la sottile differenza tra vegano e vegetariano. Lo scontro fu aspro, ma Asdrubale, a differenza del fratello Gustavo, non lasciava a desiderare in quanto a cocciutaggine e idee proprie, cosìcché non si dichiarò disposto a cedere. La contessa fu inamovibile: era assurdo anche solo l'aver pensato di cancellare un piatto tanto importante per tutta la famiglia Salsiccia in favore di qualcosa di assolutamente insignificante, insapore e ignavo. (La contessa si fece prendere la mano dalle parole con la "i", scegliendo anche a sproposito i termini per manifestare il suo pensiero). Così, Gustavo fu incaricato di preparare la Supersalsicciasegretissimatradizionale e ad Asdrubale venne affidato il dolce. Sconfitto, ma non ancora finito, Asdrubale si chiuse nella biblioteca, alla ricerca del dolce perfetto: senza latte, senza uova, senza burro. Dopo giorni di clausura, lo si sentì esultare: "Eureka!" Aveva trovato la sua idea, la ricetta per il suo dolce perfetto. Le mucche si voltarono verso il palazzo in cerca di quel chiasso che le aveva distolte dal loro ruminare tranquillo, per tornare poco dopo alla stessa attività.
Le celebrazioni per il pluricentenario furono spettacolari. Fuochi d'artificio, ballerini, luci e musica! Fu una festa sfavillante e la Supersalsicciasegretissimatradizionale lasciò ogni palato deliziato da tanta bontà. Chi mai, a una festa di una famiglia di macellai, avrebbe potuto nutrire qualche aspettativa sul dolce? Nessuno, ecco perché al momento del dessert, completamente rimpinzati dalle portate salate, se ne stavano in panciolle sui divani. Nel frattempo, giù in cucina Asdrubale sembrava avere qualche difficoltà... tutto il personale lo guardava atterrito e persino intimorito, mentre si affaccendava per mescolare un pesante e appiccicoso impasto color senape. Per cercare di rendere tutto più semplice, il calderone venne posto sul fuoco, ma nulla sembrava sfaldare la compattezza collosa di quel... cibo. Così, avendo il forno ancora caldo per gli sformati di carne da poco serviti, il pallido Asdrubale ci ficcò il suo impasto, fiducioso di ottenere qualche miglioramento. Dentro al grande forno, l'impasto prese a lievitare e lievitare, gonfiandosi a dismisura in una palla enorme quasi quanto una mongolfiera! Ma la palla non si accontentò del grande forno e con la sua forza elastica spalancò lo sportello fuoriuscendo e invadendo la cucina e tutti i presenti che rimasero invischiati nelle sue trame di miele, miglio e chissà cos'altro. L'impasto non aveva tregua e trascinò con sè tutta la brigata di cucina che arrivò nel salone dove si erano raccolti gli ospiti come a cavallo di un'onda delle Hawaii. Dapprima lo stupore proruppe in uno scrosciante applauso, prendendo l'onda di cereali come un altro effetto speciale della famiglia Salsiccia, ma quando questo mare viscoso li travolse i loro sorrisi si tramutarno in sgomento e in urla di paura. Che disastro! L'intero palazzo era cosparso di una nuvola densa e collosa ripiena dei più importanti personaggi locali, che pendevano dai soffitti, brancolavano nella troba delle scale e annaspavano lungo i soffitti dei corridoi. Asdrubale si ritrovò incollato alla Contessa che paonazza per la rabbia non riusciva a non maledire il povero cuoco in erba. Solo una pioggerella battente e un forte venticello umido poterono liberare tutti gli invitati dalla morsa del dolce, ma non riuscirono a salvare Asdrubale dall'ira della madre che lo rincorse per tutta la casa, incappando nella sala dei giochi, dove i nipotini ancora incollati al lampadario, stavano leccando l'impasto che li aveva imprigionati, scoprendo quanto fosse buono: leggermente dolce, ma asprigno grazie al gusto inconfondibile dei lamponi... una vera delizia! La nonna si fermò di colpo e assaggiò l'impiastro rimasto su una seggiola. La sua espressione mutò in un lampo e si rivolse al figlio, trattenuto per il collo, con uno sguardo di compassionevole furbizia mentre Asdrubale rimase con la sua faccia attonita e naturalmente bislacca, senza comprendere i ragionamenti capitalistici della madre che già vedeva aprirsi una nuova era per la famiglia Salsiccia. Lo stesso giorno la Contessa chiamò all'alba avvocato, contabile e responsabile di produzione della sua azienda di carne e proferì con aria maestosa i suoi ordini farciti di scorrettezze grammaticali:
"Da oggi preparate una nuova linea di produzione. I dolciastri di Asdrubale si chiameranno I nuovissimi sani&buoni, marchio vegegatano che ci porterà ancora più guadagni! Tutto dovrà essere in linea con la filosofia di quel mat... ehm, di quel bravo figliolo di Asdrubale. Cambieremo anche cognome, chiedete a lui". Da allora, la famiglia Salsiccia tramutò il proprio cognome in Sanissimi e per loro iniziò un nuovo e fiorente periodo...!!

2.4.13

L'oca e la capra della collina

Era la domenica sera il momento che Cloè adorava. In quella serata, tutta la famiglia si riuniva nella grande casa sulla collina, dalla nonna. Si partiva nel tardo pomeriggio, in quelle prime lunghe giornate di aprile, con il sole che, ormai stanco dopo una giornata a risplendere, salutava la città e i suoi boschi ancora umidi nel loro fitto fogliame. Cloè osservava i rossi e gli arancioni di quei pomeriggi e li riportava in grandi macchie colorate sul sul quadernetto rivestito in pelle, un regalo della nonna, anch'essa amante della pittura e del disegno.
Ogni domenica sera, si preparava una grande e festosa cena, a cui tutti contribuivano con un piatto gustoso, nuovo, ma anche legato ai sapori di quella terra così ricca. Cloè aspettava però il momento del dopo cena, dopo il dolce, dopo il caffè e persino dopo i sigari dei grandi. Solo a quel punto la nonna sedeva sulla grande poltrona imbottita, davanti al camino e solo allora, togliendo lentamente gli occhiali, raccontava una delle sue splendide storie...
Su quale collina abitano i nostri amici?
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C'era una volta, nel campo in fondo alla strada della collina, un fattore che possedeva un piccolo pollaio, un cavallo, due cani, una capra e un'oca. Il fattore ogni giorno lavorava il suo campo e accudiva le sue bestie, senza chiedersi il perché o il per come, ma semplicemente sudando sette camicie e guadagnado così il pane per sè e per la sua famiglia. Ogni giorno, di ogni settimana, di ogni mese, di ogni anno. Non c'era riposo, se non la domenica mattina quando, vestito della festa, il fattore accompagnato dalla sua famiglia raggiungeva il villaggio per la messa prima.
In realtà, il piccolo mondo del campo in fondo alla strada della collina era molto più complesso di quanto immaginasse il suo proprietario. Il fattore non sapeva e non poteva sapere tante cose dei suoi animali. Le galline, benchè piuttosto ottuse e poco brillanti, la facevano da padrone, se non altro perché maggiori di numero. Il cavallo, bonario e gran lavoratore, non faceva altro che asserire, per evitare discussioni e problemi. I due cani  bighellonavano qua e là, senza occuparsi della gestione o dei diritti propri e dei loro compagni di campo. Infine, c'erano la capra e l'oca, gli individui più strani e più sfuggenti di tutta la fattoria. Persino la moglie del fattore risultava essere meno complicata di quei due. La capra aveva un caratteraccio burbero e chiuso, tanto da mal sopportare la compagnia degli altri. L'oca era indecisa, combattuta fra quella parentela labile che sembrava legarla alle galline e i suoi principi, che cozzavano con le idee senza capo né coda delle lontane cugine. I due non si piacevano e cercavano di evitarsi, rispettando un reciproco e condiviso silenzio.
Successe un giorno che il fattore, senza nemmeno volerlo, cambiò inesorabilmente le sorti di quei due. Quel giorno, il fattore si presentò di buon ora alla fattoria, con un lungo tubo in plastica e un misterioso e profumato sacco, che attirò tutte le galline e, in maniera meno evidente e chiassosa, anche l'oca. La capra osservava da lontano. Il fattore si sedette e scrollando il sacco per agitare ancor più le sue fameliche amiche, ottenne ciò che voleva: l'oca lo avvicinò abbastanza da poterla afferrare per il collo. La capra ebbe un sussulto. L'oca prese a dimenarsi, starnazzando all'impazzata fra la fuga generale di tutte le galline e l'abbaiar dei cani. Preso il tubo, il fattore cercò a più riprese di infilare quest'ultimo nel becco dell'oca. Impresa ardua, visti i convulsi movimenti dell'oca spaventata. La capra raspava a terra. Il fattore non si dava per vinto e continuava con i suoi tentativi: portare a termine quel compito gli avrebbe garantito il doppio dei guadagni che l'oca gli avrebbe dato con le sole sue carni. Infine, il tubo passò il becco e si conficcò nel lungo collo dell'oca, facendole assunmere un'innaturale postura rigida e soffocante. Gli occhi dell'oca arrossati per lo sforzo incontrarono quelli della capra. Questa non perse un attimo e caricando si scagliò sul fattore, facendo ruzzolare via il suo seggiolino e provocandogli un forte dolore al fondoschiena, dove andò a conficcare le sue piccole corna aguzze. Alzandosi, il fattore estrasse involontariamente il tubo dalla gola dell'oca, permettendo a quest'ultima di fuggire lontano, accompagnata dalla sua nuova compagna di avventura, la capra. Il fattore cercò in vano di raggiungerle, ma dolorante com'era non poteva certo credere di prenderle.
Le due compagne corsero e corsero, fino a incrociare sul loro cammino di fuga e salvezza una bimba con le trecce che non esitò ad aprire il cancello del suo giardino, facendo entrare le due bestiole. Da allora, capra e oca non si lasciarono mai più: non c'era angolo del giardino della bimba con le trecce in cui non apparissero insieme, una al fianco dell'altra. In un apparente silenzio, se ne stavano per ore a crogiolarsi al sole o a rinfrescarsi nelle lunghe e tiepide notti d'estate. Se sarete fortunati, anche a voi capiterà di vederle.... basta salire sulla collina più vecchia della città*....




* - La mia città è Bergamo e fra i suoi colli, uno è conosciuto per la sua vecchiaia :) Proprio lì potrà capitarvi di trovare le due bestie di questa storia.

Pronti per una nuova storia?



E' PrIMaVERa! 
Ci siamo lasciati le uova e ormai anche le vacanze alle spalle, così domani ritorniamo con una nuova storia! 
Ci saranno due protagonisti molto singolari :) 
Nessuna anticipazione! 
Per ora, buon ultimo giorno di vacanza.... godetevelo e fate qualcosa di speciale:

- cacciare farfalle
- saltellare nelle pozzanghere con gli stivali da pioggia
- fare una squisita torta con le uova di cioccolata
- costruire una casetta per i pipistrelli
- fare una lunga corsa a perdifiato
- visitare un luogo speciale, come una misteriosa grotta
- preparare il terreno per il vostro orticello


A domani! 

11.3.13

Il Gran Ballo e le cipolle candite


C'era una volta, nella cucina ordinata di un grandioso palazzo, un piccolo cassetto, in cui venivano riposti gli attrezzi che si usavano meno.
Nella cucina c'era sempre un gran fermento. Gli chef, con i loro grandi e gonfi cappelli candidi si muovevano veloci e sicuri tra fiamme, pentoloni, griglie e piastre, verdure e lame, carni e sapori esotici, venuti da lontano sui grandi bastimenti attraccati al porto la mattina di buon'ora. Le merci arrivavano appunto ogni mattina dal porto, gli incaricati della brigata di cucina controllavano gli ordini del Grande Chef e accettavano i prodotti, dopo essersi accertati della loro qualità e dell'assoluta freschezza di ogni materia prima. Nessun pesce che non fosse stato pescato durante la notte precedente, nessuna verdura che non fosse arrivata la stessa mattina, nessuna spezia che avesse perduto il suo aroma intenso e spiccato, queste erano le regole. Ogni strumento era ordinato con cura e alla fine di ogni servizio, tutto veniva pazientemente lavato, asciugato e riposto nello spazio dedicato. Ognuno aveva il suo compito e il suo ruolo; nella cucina regnava una ferrea disciplina diretta dal Grande Chef. Nessuno osava contraddirlo o disobbedirlo. Il Grande Chef lavorava nel ristorante da sempre, non c'erano altri che fossero lì da più tempo. Nessun altro, se non Javier il lavapiatti, ma di lui non si curava pressoché nessuno.
Ma torniamo al cassetto degli attrezzi poco usati, perché lì, dimenticato fra cianfrusaglie e ciarpame di vario tipo, si nasconde il protagonista di questa storia. In ogni cucina esiste un cassetto un po' in disordine, in cui alla rinfusa, si chiudono tutte quelle cose che non servono o magari troppo vecchie o semplicemente dimenticate e seppellite sotto tutto il resto. Nella cucina del Grande Chef, il cassetto del disordine si trovava in un angolino, vicino alla plonge*, dove tutti evitavano di passare, se non perché costretti da una punizione del Grande Chef. La nostra storia guarda proprio in quell'angolino e in particolare in quel cassetto, sotto a vecchi trinciapolli arrugginiti, coltellacci non più affilati, cucchiai in legno bruciacchiati, tappi in sughero dimenticati, mestoli ammaccati e schiumarole piegate. Un cassetto di cui non si curava pressoché nessuno. Nessuno, se non Javier.
Una mattina di Primavera, nel palazzo iniziarono i preparativi per il Gran Ballo, l'evento più importante di tutto l'anno, a cui partecipavano dame e cavalieri da ogni luogo del mondo conosciuto. Servivano settimane prima che tutto fosse pronto: i tappeti andavano sbattuti, lavati e fatti asciugare, l'argenteria doveva essere lucidata, tutte le candele sostituite, i pavimenti ramazzati, le maniglie e i corrimano in ottone lustrati, i vetri puliti... e tanto altro ancora. Immaginate una grande casa in subbuglio, con cameriere e maggiordomi affaccendati qua e là, i giardinieri al lavoro e gli stallieri altrettanto. Ovviamente, in cucina non si stava in panciolle. Carichi, ordini e pulizie per preparare tutto in ordine e pronto per il grande evento. In queste occasioni, il Grande Chef si irrigidiva ancor di più, tanto che i suoi sottoposti ne erano letteralmente terrorizzati. Non erano ammessi errori.
Alla vigilia del Gran Ballo, accadde però quello che noi tutti definiamo come imprevisto, sfuggevole al comando persino del Grande Chef. Tre dei suoi migliori aiuti si beccarono il potentissimo virus influenzale che li costrinse a letto con febbre, dolori vari e altri disagi. Non c'era più tempo di preparare qualcuno per coprire i loro ruoli e non c'era tempo per preparare tutto. Il giorno del ballo, il Grande Chef si presentò in cucina prestissimo, prima di tutti gli altri, così che quando i primi si presentarono alla porta della cucina, trovando la stufa già accesa, presagirono il peggio... e così fu. Rabelais, questo era il nome del Grande Chef, diede su tutte le furie: lanciò dei tegami per terra, scagliò delle patate sul muro e con un fiume di parole travolse i poveretti che si erano semplicemente presentati al solito orario. Intanto, in fondo, alla plonge, Javier lavorava in silenzio, da prima che chiunque mettesse piede in cucina. Mezzogiorno arrivò in fretta e anche se Rabelais era organizzatissimo, sapeva bene che il banchetto della sera incombeva su di lui e sulla sua cucina e non avrebbe mai potuto garantire il pantagruelico menù senza i suoi tre migliori aiuti (che furono licenziati in tronco lo stesso giorno...). Il sudore imperlinava la sua fronte, mescolandosi con i suoi pensieri, le sue mani si muovevano con precisa velocità, ma non c'era tempo. Tutti lavoravano in silenzio assoluto, soltanto lo sbuffare del pentolame e il crepitio del fuoco, accompagnato dall'acciottolio delle stoviglie rompevano quel rigido e gelido clima di lavoro. Finito il servizio del pranzo, tutto doveva ruotare attorno al banchetto serale. Rabelais aveva gli occhi arrossati, le labbra tirate e i muscoli del collo in una tensione massima. Alla minima imprecisione, si scagliava contro il malcapitato, con offese, grida in un affanno di rabbia e disperazione. Le 16. Non c'era tempo, non più. Con ormai un filo di voce, Rabelais prese a ragguardire uno degli sguatteri, un ragazzino esile quanto una gamba di sedano, perché aveva gettato della scorzetta d'arancia senza sapere che sarebbe servita come guarnizione di un piatto. Ogni disattenzione rappresentava una consistente perdita di tempo per tutta la brigata. Javier continuava, a capo chino, il suo lavoro.
Le 18. Ormai era questione di una manciata di ore. Proprio allo scoccare delle sei, Rabelais chiese all'entremetier** di portare la teglia con le cipolle da candire in forno. Il poveretto dapprima arrossì, poi paonazzo si guardò attorno in cerca di aiuto nei suoi compagni, infine scoppiò in un pianto soffocato dai singhiozzi e Rabelais riuscì ad intendere "dimenticato", in una serie di "mi scusi" e "sono desolato". Inutile dire che Rabelais perse le staffe. Raccolse tutta la voce rimasta nella sua gola per accanirsi sull'uomo, sul suo aiutante e con essi, tutti gli altri, non risparmiò proprio nessuno, quando una voce lo sovrastò. Un silenzio pesantissimo si raccolse attorno a quell'angolo della cucina che nessuno mai osservava dove, assorto nel suo lavoro, Javier aveva osato rispondere a Rabelais. Quest'ultimo verde di rabbia, inspiegabilmente restò in silenzio. Fu allora che Javier, senza nessuna inutile furia, prese il controllo di tutto e con estrema calma rimise tutti al lavoro. Prima di fare ciò, mandò l'aiuto dell'entremetier a prendere le casse di cipolle da candire, ancora riposte nel magazzino e chiese all'o stesso entremetier di prendere dal cassetto del disordine i piccoli coltelli dal manico rosso. Imbarazzato, l'uomo raggiunse il cassetto e quando vide lo strumento comandato, non seppe di che farsene, guardando sbigottito il nuovo capo. Javier ne prese uno e, con una manualità impressionante, prese a sbucciare le cipolle con tale rapidità che tutti, Rabelais compreso, rimasero di stucco. Così, dopo aver impartito gli ordini agli altri chef-de-partie***, raccolse tutti gli sguatteri e mostrato loro come fare, riuscì a far sbucciare e affettare tutte le cipolle, infornandole poco in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Javier aveva risolto la situazione, con calma e pazienza. Il banchetto fu un successo e mentre le portate uscivano in sala perfette, la brigata di cucina gli si fece intorno e togliendo gli alti cappelli bianchi, presero a battere le mani. Tutti. Tranne uno, Rabelais che in un angolo sfogò il suo sconforto in un pianto a dirotto. Javier gli si avvicinò e posando una mano sulla sua spalla, lo invitò al centro. In fondo era stato lui a organizzare tutto per la festa. I complimenti fioccarono anche da parte di tutti gli ospiti e anche i padroni, che mai si erano scomposti in un complimento, già dopo le prime portate, affidarono agli chef-de-rang**** i loro omaggi per il Grande Chef. A questo punto però, chi era il Grande Chef?
La cucina era acefala, Rabelais si sentiva così deluso dal suo fallimento che quando Javier gli si avvicinò, gli consegnò il suo cappello stellato, che venne prontamente rifiutato. I due si guardarono negli occhi e Javier gli disse che non doveva sentirsi abbattuto, ma che la squadra era fatta per non crollare e lui aveva solo fatto ciò che sapeva fare, ma riconosceva in lui il genio creativo di sempre. Rabelais rimase esterrefatto e per la prima volta, sorrise a quell'uomo così umile e pieno di risorse. In vano offrì a Javier il posto come sous-chef, perché lui sempre lo rifiutò, ma in cucina, da quella sera, regnò un'armonia mai avuta. Rabelais si dimostrava più paziente e comprensivo con i suoi sottoposti e scrutava il loro lavoro, anche nei reparti più indegni, perché il talento poteva nascondersi ovunque. Inoltre, imparò anch'egli a riconoscere la bravura dei suoi aiutanti e non soltanto gli errori.
Resta ancora un mistero da svelare, anzi due. Il piccolo coltello dal manico rosso, così a lungo dimenticato... che magie nascondeva nella sua lama? Un vecchio ambulante aveva lasciato una partita di quei coltelli in omaggio a seguito di un acquisto considerevole di merce, ma nessuno ci aveva mai dato importanza. Mai nessuno tranne Javier. Per le sue dimensioni ridicole, il coltello prese il nome di spelucchino e da quella serata nel grande palazzo, divenne un aiuto fondamentale in cucina... E l'altro mistero? Chi era Javier? Dove aveva imparato a dirigere la brigata? Come sapeva riconoscere l'uso di uno strumento mai visto? Perché non accettò mai un posto migliore di quello da plongeur? Ma queste sono domande che raccontano un'altra storia...

Parole nuove dal Francese:
* Lavaggio
** Addetto alla preparazione di verdure, legumi e uova
*** Capo partita
**** Responsabili di sala