Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

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30.3.11

Aspettando il Giro...

Filippo è già in sella della sua bicicletta, una mountain bike Bianchi, come quella del nonno ciclista, ma in miniatura. Il nonno è stato un ottimo ciclista a suo tempo e con la sua bellissima bicicletta da corsa aveva percorso tantissimi kilometri e ancora non era stanco di cavalcare la sua bici per una bella passeggiata con gli amici o, meglio ancora, con il suo più caro nipotino Lippo, come tutti conoscono e chiamano il piccolo Filippo.
E' una spledida domenica mattina di Maggio, il Giro non è ancora iniziato, ma presto solcherà l'asfalto della Penisola, accedendo l'entusiasmo dei tanti spettatori. Lippo e il nonno hanno deciso di aspettarne l'inizio a loro modo, cioè uscendo per una bella e sana pedalata. Caschetti assicurati, inforcano le loro biciclette e si avviano verso il percorso ciclabile della città. Nelle borracce, il té al limone si muove al ritmo dei pedali, l'asfalto nero scorre sotto le ruote, macinando i primi kilometri. La pista ciclabile è un percorso facile, adatto a ciclisti esperti, ma anche per chi è ancora alle prime armi. Inoltre è un luogo sicuro, lontano dal traffico e dai pericoli della strada. Il nonno, ogni volta che ne superano l'ingresso, spiega a Lippo che anche sulla ciclabile è necessario rispettare un codice, in modo da tutelare la sicurezza propria e altrui. Ogni volta, Lippo lo ascolta, chiedendosi soprattutto dove il nonno trovi il fiato per pedalare e per chiacchierare al contempo!
Il falso-piano della ciclabile si snoda, per gran parte, in un paesaggio incontaminato, dove la natura offre uno spettacolo magnifico e vario in ogni stagione. Quella mattina è in scena la Primavera: nei prati verdissimi che costeggiano la striscia sottile di asfalto nero, si schiudono migliaia di macchioline chiare, qui gialle, là bianche, più lontano turchine. Sono i fiori di prato, che nessun fiorista potrà mai eguagliare nella bellezza della loro composizione spontanea e casuale. Nell'aria si respira la freschezza del mattino, ancora inumidito dalla notte appena trascorsa e il cinguettio dei passeri allieta il pedalare continuo di nonno e nipote. Il nonno riprende a raccontare, quando, dopo aver superato le fredde e fiabesche gallerie della ex-ferrovia, lui e Lippo raggiungono il tratto che costeggia il fiume. Racconta a Lippo di quando era bambino e dei tuffi dal grande masso, della pesca di trote e della caccia ai gamberi di fiume. Già, tanto tempo prima, quando nessun incubo inquinante avrebbe mai potuto guastare i giochi dei bambini. Da quel punto, le piccole salitelle si fanno più frequenti, ma l'ariolina di prima mattina che accarezza il viso è un toccasana rigenerante, che spinge i due girardengo a continuare.
Prima di raggiungere l'ultimo paese, a capo del tracciato ciclabile, rimane ancora un'ultima galleria, che è in salita e anche la più lunga. Come tutte le altre, non appena qualcuno vi accede, la fotocellula, rilevando il movimento, fa scattare le luci poste sull'asfalto, illuminando le pareti irregolari e la volta dell'ex galleria ferroviaria. Lippo aumenta sempre il suo ritmo in questo tratto e il nonno, anche questa volta, sorride discretamente alla piccola paura del nipotino. Superata l'ultima curva nel bosco, i due vedono l'ingresso del tunnel e continuando a pedalare, ne superano l'entrata, sentendo sulla pelle il freddo quasi gelato dell'aria all'interno. Qualcosa non va... le luci non si accendono! Con decisione, entrambi frenano e poggiano i piedi a terra, che succede? Il nonno rassicura Lippo, che gli si è subito avvicinato e procedono a piedi, tenendo le bici a mano. Ad un tratto, sulle pareti compaiono grandi macchie luminose, che cambiando forma scorrono sul soffitto, a terra e di nuovo sulle pareti... i due sono ammutoliti e increduli. Osservando meglio le figure, il nonno riconosce molti eroi dei suoi tempi: Bartali, Girardengo, Coppi, Binda, Magni e Moser, ma anche Gimondi, Bugno, Pantani, Gotti, Cipollini, Simoni, Bettini... anche Armstrong, Indurain e altri ancora. Lippo è a bocca spalancata e osserva incantato le figure muoversi come in un film sulle pareti della galleria. Uno spettacolo di ciclismo tutto per loro e per loro soltanto. Poi, così come erano comparse, le macchie luminose scompaiono nel buio della galleria, lasciando i due spettatori impietriti. Solo il campanello di una bicicletta richiama la loro attenzione, vista la fretta e la non troppa gentilezza della dama che la cavalcava, inferocita dal fatto che i due se ne stessero come ebeti in mezzo alla galleria. Come risvegliati da un sogno, si rendono conto di non essere al buio, tutte le luci sono infatti accese e, anzi, una funziona a intermittenza, ronzando nel silenzio del tunnel. Risaliti in sella, il nonno e Lippo pedalano fino all'uscita, dove si siedono su un muretto, ancora sconvolti dall'esperienza. La stessa dama tornando sul percorso con una busta di pane e verdura, notando il pallore di entrambi chiede se è tutto a posto, ottenendo un accenno di assenso con il capo.
- 'Sti ciclisti in coppia, son strani e poi son sempre in mezzo alla strada a dar fastidio a chi c'ha fretta!

28.3.11

Il mio animale domestico

- Mamma mamma, posso adottare un cagnolino?
- No Ada, non c'è spazio!
- Mamma mamma, posso adottare un gattino?
- No Ada, graffia e rovina tutta la casa!

Ada ha otto anni e frequenta la terza elementare. Ada vive in un appartamento di un grande condominio, ai confini della città. Non ci sono parchi, non ci sono prati. Non ci sono animali.
Sul libro di Scienze, Ada ha visto le mucche, le papere e i tacchini e persino i maiali, ma il suo sogno è avere un piccolo animale domestico, che faccia le feste al suo ritorno, che dorma con lei e che con lei ascolti le fiabe della buona nanna.
Ci mancava il tema di Italiano! "Descrivere il proprio animale e raccontare un episodio divertente"... che cosa avrebbe mai potuto raccontare?! La maestra le risponde di inventare, inventare!

Il mio animale domestico si chiama Chrichri e ha due giorni, almeno credo. E' molto piccolo, pelosino e non posso capire il colore dei suoi occhi. Adora stare tranquillo sulla finestra del bagno, dove può cacciare le mosche e i moscerini che tentano di entrare in casa. Chrichri è molto educato e non disturba nessuno, ma ieri ha spaventato a morte la zia Clotilde. La zia non sapeva nulla di Chrichri e non mi sono ricordata di avvisarla che in bagno lo avrebbe trovato. Dopo un secondo appena, ho sentito un forte urlo acuto e ho capito che cosa era successo. La zia era caduta dal gabinetto e se ne stava raggomitolata in un angolo, urlando come una matta e coprendosi la testa con le mani e con la carta igienica. Aveva visto Chrichri e lo spavento l'aveva fatta cadere. La mamma l'ha aiutata ad alzarsi e non ha potuto fare altro che uccidere Chrichri. Con un po' di carta l'ha raccolto dalla sua tela e l'ha buttato nello scarico, per poi tirare l'acqua.
Il mio ragno è morto dopo due giorni, due ore e qualche minuto da quando era venuto ad abitare con me.
Fine.

26.3.11

Il tendone e il domatore

Il tendone e il domatore

Il tendone del circo comparve in una notte d'autunno, con la luna dietro una nuvola leggera e un venticello dispettoso.
Dalla finestra della sua camera, Birgul lo vide in mezzo alle dune, con i suoi colori sgargianti e la sua forma tanto strana. Il suo telo era a strisce rosse e blu e di quegli stessi colori erano dipinte le grandi gabbie che, una dopo l'altra, avevano raggiunto lo spiazzo attorno all'oasi, disponendosi in cerchio tutt'intorno. Birgul avrebbe voluto vedere gli animali. Si diceva che il circo portasse animali maestosi, reali. I fratelli di Birgul continuavano a fare baccano, per guardare dal binocolo quella bizzarra carovana, che a occhio nudo si poteva solo intravedere nel buio del deserto. La mamma aveva raccontato loro che il circo è un luogo pieno di magia, perché gli animali sentono la bontà degli uomini e la ripagano con i doni più meravigliosi! Al contrario, sotto a quei tendoni dove, l'incuria e la prepotenza trattavano le bestie miseramente, la sventura era una triste e dura condanna. Il racconto aveva tanto affascinato Birgul e i suoi fratelli da aspettare l'arrivo del circo con un'ansia frenetica. Il richiamo del papà, però, non tardò e anche Birgul dovette mettersi a letto, sognando tutta la notte lo spettacolo del circo.
L'indomani, il sole sorse sulla distesa di sabbia e per la prima volta sul tendone del circo. Attorno all'accampamento, gli uomini avevano iniziato a lavorare fin dalle prime ore dell'alba, per provvedere a distribuire acqua a tutte le bestie e a rinfrescarne le gabbie con le grandi foglie di palma, raccolte lungo il loro viaggio per arrivare in città. La sera stessa ci sarebbe stato l'unico, grande e tanto atteso spettacolo. Sotto al tendone la calura era già insopportabile e le prove procedevano con il doppio della fatica. Ogni gesto veniva compiuto con la lentezza e la pesantezza che l'aria del deserto impone. Birgul decise di fare un'incursione all'accampamento e per rendere omaggio a quelli che potevano essere considerati pellegrini, portò delle foglie di tè alla menta rinfrescante. Venne accolto dal sorriso baffuto del domatore dell'orso bruno, un uomo basso e tarchiato, con braccia muscolose e possenti. Lo accompagnò nel suo carro dove, sua moglie ringraziò gentilmente del piccolo dono e sistemò subito un bollitore arancione sul fuoco acceso con cura all'esterno. Il profumo di tè alla menta si diffuse anche all'interno del carro e tutti sorseggiarono l'infuso in silenzio. Il domatore, per sdebitarsi, propose a Birgul un'esperienza irripetibile, a cui il bambino non rinunciò. Il domatore accompagnò Birgul nel suo giro dagli animali: assicurarsi che avessero cibo, acqua e che la loro temperatura non fosse troppo alta. Gli animali erano tranquilli e la visita del domatore non turbò il loro riposo. L'uomo aveva guadagnato la loro fiducia, per questo lo rispettavano, così spiegò il domatore a Birgul rapito dal carisma del suo accompagnatore. Poi, Birgul salì con gli acrobati fino al punto più alto del tendone, i pagliacci gli truccarono il viso di bianco e di rosso e le ballerine gli offrirono dei dolci morbidi, ripieni di marmellata. Si era fatto già mezzogiorno e il circo doveva iniziare a predisporre tutto per il grande spettacolo, mentre Birgul era già in ritardo per rincasare puntuale per l'ora di pranzo. Il domatore si avvicinò a Birgul, lo accarezzò sulla testa e gli porse un pacco avvolto in carta oleata color senape. Con il sorriso baffuto salutò Birgul, che scappò via felice.
Non passò giorno in cui Birgul non indossasse il suo regalo. Nessuno dei suoi fratelli riuscì mai a sottrargli quel pacco. Il mantello gli permise di visitare luoghi, di avvicinare animali feroci rendendolo ammirato da tutti i compagni. Non solo quel mantello poteva renderlo invisibile, ma anche permettergli di decidere chi non avrebbe dovuto vederlo! Questo fu un vero vantaggio e Birgul riuscì così ad avverare molti dei suoi giovani desideri.

25.3.11

Le Printemps e il Ranabimbo

C'era una volta il bambino ranocchio. Nessun'altro bambino voleva giocare con lui e nessun adulto poteva sopportarne l'aspetto malaticcio e mesto. Aveva la pelle pallida, di un colore giallastro-verdognolo, come quella dei bambini malati di qualche virus violento e temibile. I suoi occhi spenti non lo aiutavano a scuola, dove gli insegnanti spesso lo riprendevano per la sua apparente disattenzione. Nessuno sembrava interessarsi al bambino ranocchio e quasi nessuno ricordava il suo vero nome, ormai sostituito da Ranabimbo.
Ranabimbo andava a scuola a piedi e partiva così presto da non incrociare nessun altro bambino per evitare almeno per quel quarto d'ora, gli scherzi e i dispetti dei suoi compagni. In realtà, nessuno osava avvicinarsi a lui, perciò tutto si limitava a risatine sotto i baffi, a parole sussurrate nell'orecchio e a stupidi giochi. Durante l'intervallo, tutti i bambini scendevano di corsa in giardino, ma Ranabimbo se ne stava in classe, apriva uno dei suoi libri e leggeva, come se non gli fosse bastata l'ora di lezione precedente e quella che sarebbe inziata poco dopo. Quando la sua classe scendeva al piano interrato per raggiungere gli spogliatoi della palestra per prepararsi all'ora di Educazione Fisica, Ranabimbo chiudeva la fila e si cambiava per ultimo, nessuno avrebbe voluto condividere lo spogliatoio con lui e nessuno l'avrebbe voluto in squadra a palla prigioniera, perché era quasi ovvio che portasse sfortuna. Così, gli veniva assegnato il ruolo di arbitro e ogni volta, Ranabimbo raggiungeva la linea di metà campo e lì trascorreva tutta l'ora di ginnastica, mentre gli altri giocavano, sfogando tutto il loro entusiasmo.
Un giorno, l'insegnate di Educazione all'Immagine entrò in classe con un bel sorriso smagliante, aprì le finestre e squittì allegra che la Primavera era arrivata in paese e con essa il periodo del Parco-inventa. Ogni anno, la scuola partecipava al concorso Parco-Inventa e tutti i bambini avrebbero potuto presentare il loro capolavoro ispirato al Parco e al risveglio della natura in quella splendida stagione. Tutti si misero all'opera e crearono delle meravigliose composizioni di colori e forme: Charlotte disegnò il volo leggero delle farfalle, usando mille colori pastello; Didier scelse di rappresentare la magnolia in bocciolo della zona est del parco, contrapponendo la delicatezza di quei fiori alla robustezza dei rami; Georgette decise che nulla avrebbe meglio rappresentato la primavera come gli anatroccoli della coppia di germani reali. Il concorso era un'occasione di trascorrere all'aria aperta qualche ora, da dedicare a schizzi e studi dei soggetti da rappresentare. Poi ci sarebbero state due settimane in cui lavorare ai propri progetti, sfruttando i consigli di diversi artisti, invitati a partecipare ai laboratori pomeridiani, organizzati dalla scuola. Tutti lavoravano freneticamente, con la convinzione di aver realizzato il disegno vincitore. Tutti tranne uno: Ranabimbo. I compagni avevano cominciato a prenderlo in giro fin dalla prima uscita al parco quando, attraversando il ponte giapponese, videro una famiglia di ranocchie nella frescura delle nifee. Tutti erano convinti che avrebbe realizzato un ritratto delle rane e alle solite nenie, aggiunsero un "cra-cra" ad ogni suo movimento.
I disegni furono consegnati all'insegnate, che assegnò un numero ad ognuno, in modo che il giudizio non fosse condizionato da eventuali simpatie verso i bambini. In cambio, ogni partecipante ricevette un biglietto con il numero associato al proprio capolavoro, in modo da poter conoscere la loro posizione in classifica alla fine del concorso. Dopo una settimana, i risultati sarebbero stati pubblicati sulla grande bacheca nell'atrio della scuola. Tutti li aspettavano con ansia...
Quella settimana passò molto in fretta, viste le molte verifiche da fare e le diverse interrogazioni, che fecero fioccare votacci un po' per tutti. Ranabimbo ottenne i suoi soliti ottimi voti, anche se gli insegnanti non mancavano mai di rimproverarlo per qualcosa: perchè non ci metti un po' di entusiasmo? Perchè scrivi tutto con il nero? Nelle ricerche potresti fare qualche titolo colorato... perchè non lavori in coppia con qualcuno? Perchè, perchè, perchè? Ranabimbo non rispondeva, si limitava a qualche cenno di assenso con il capo, senza dare nessuna soddisfazione alle insegnanti, falsamente interessate alla sua situazione. L'avevano anche spedito dalla Psicologa e presto avrebbe dovuto iniziare a seguire le sedute di terapia... oltre alle lezioni di yoga per liberare il su spirito e ai colloqui con il Don di Religione, per dare pace alla sua anima.
Il giorno tanto atteso arrivò. Se solitamente i bambini cominciavano a vociare nel cortile della scuola soltanto alle 7.45, quel giorno alle 7.30 erano già tutti all'assalto del portone grigio-azzurro. Fra tutto lo spingere e il gridare, gli insegnanti non riuscivano ad entrare e il bidello Genny fece la voce grossa per ristabilire l'ordine, annunciando che il Preside in persona avrebbe annunciato i risultati dalla finestra del suo ufficio, proclamando i tre vincitori dei premi previsti, ancora sconosciuti. Alle 7.50, la finestra del Preside si aprì, richiamando il silenzio in tutto il cortile, ma quando si affacciò la signorina Dada, l'insegnate di Educazione all'Immagine, tutti ripresero a chiacchierare. Un acutissimo suono del microfono riportò il silenzio e la signorina Dada annunciò la descrizione dei premi:
- un microscopio scientifico al terzo classificato;
- un abbonamento alla rivista nazionale di natura e scienze al secondo classificato;
- un'intera giornata al planetario della città al primo classificato!
Nessuno era interessato a quei premi, ma tutti volevano vincere per sentirsi più bravi dei compagni. Nessuno tranne uno e voi sapete di chi si tratta. Dopo l'annuncio dei premi, il Preside raggiunse la finestra, aprì un foglietto di carta gialla e si schiarì la voce. Tutti erano con il fiato sospeso. Il terzo premio, per i colori e la vivacità; seguì un applauso fragoroso; il secondo premio, attribuito per la tecnica, nuovamente coronato da un potente battimani e infine... il primo premio! Si trattava di un paesaggio di campagna, in cui mille e più persone erano ritratte indaffarate: chi spazzava il cortile, chi giocava nell'erba, qualcuno lavava la sua auto, altri passeggiavano ridendo e altri ancora sfrecciavano sulle piccole biciclette. Il mercato e i suoi colori, la chiesa e le campane... la Primavera era vita e la vita era stata disegnata su quel foglio. Minuzia, tecnica, completezza, soggetto e pieno rispetto delle consegne... al numero 13! Incredibile. Quando il dito della signorina Dada si fermò su quel nome, a fianco del numero 13, non riuscì ad alzare lo sguardo. Il Preside prese il foglio e rimase impietrito. Il Ranabimbo alzò lo sguardo nel sole e per la prima volta, il suo viso si raddolcì in uno splendido sorriso... in mezzo a una folla di facce inespressive e mute.

21.3.11

Il monte polenta

In una domenica pomeriggio qualunque, un pallido sole di fine inverno illuminava gli alberi ancora spogli e infreddoliti. Carola se ne stava nella sua stanza a giocare con Plume, il suo levriero, quando la mamma la chiamò dalla cucina:
- Carola!! Sei pronta? Dobbiamo andare!
Come ogni domenica pomeriggio, alle 13.50 Carola e i suoi genitori si stavano preparando per andare a trovare i nonni in città e purtroppo Plume dovette restare a casa, per via dell'allergia della nonna. Così, Carola lo prese in braccio, lo accoccolò nella sua coperta a pois, gli stroppicciò il musotto e gli sussurrò che sarebbe tornata presto. Plume seguì i suoi gesti attento, con le sue orecchie leggere sospese a mezz'aria: l'acqua nella ciotola, qualche croccantino, l'osso sistemato a fianco della coperta e la portafinestra socchiusa, in modo che potesse uscire a dare uno sguardo al giardino e a quella giornata di metà marzo. Era ora di partire!
L'auto era carica di pacchetti per il compleanno della nonna e in una scatola di cartone verde acqua era riposta la magnifica torta al cioccolato che la mamma aveva fatto preparare alla pasticceria più squisita del loro paesino. Carola la immaginava dentro la scatola, con la copertura lucida e i fiorellini di zucchero azzurri, la farcia morbida al gianduia e le gocce di cioccolato fondente nella pasta... mmmm! Con quel dolce pensiero, Carola si addormentò in un sonno tranquillo, pieno di splendidi sogni.
Una leccatina dopo l'altra, Plume svegliò la sua padroncina che, sorpresa, cercò di riabituare gli occhi al sole del pomeriggio. Ma Plume, che cosa ci faceva con loro? Mamma e papà, seduti su una panchina poco distante, chiacchieravano con i nonni, mentre lei e Plume se ne stavano sdraiati su una morbida coperta scozzese, all'ombra di un'alta betulla. Davanti a loro il terreno si innalzava dolcemente, formando il Monte Polenta, una cunetta in mezzo al parco delle mura, così chiamato per via del colore della terra sulla sua cima priva di erbetta. Osservandolo da vicino, il Monte sembrava davvero imponente, quasi come una collina vera! Carola non aveva mai notato quanto fosse grande, nonostante andasse in quel parco da molto tempo. Mentre faceva questi pensieri, la bimba non dava retta a Plume, il quale, scodinzolante, correva in lungo e in largo attorno ai piedi della collinetta. Non ottenendo risposta dalla sua padroncina, Plume le piombò addosso riempiendola di baci e interropendo i suoi pensieri.
- Ok Plume, vengo, andiamo a vedere ciò che hai trovato e per quale ragione fai tutto questo baccano...
- Non crederai mai a quello che ho visto!
- Bene, adesso mi fai vedere e... Oh mamma! Ma ma...
Plume la guardò con i suoi occhi neri vispissimi e acquattandosi a terra, la invitò a seguirlo. Carola ancora un po' confusa da ciò che avevano sentito le sue orecchie, gettò uno sguardo alla panchina dove la sua famiglia continuava a chiacchierare tranquillamente. Tutto era così incredibile, ma Carola decise di seguire Plume e verificare la sua scoperta. Girando attorno alla collina, sotto un cespuglio di siepe i due trovarono una grande buca, simile a quelle delle marmotte in montagna, ma molto più ampia. Senza esitare Plume si infilò all'interno della buca, seguito a ruota da Carola che, curiosa, era ben decisa a proseguire. Dopo qualche dozzina di passi nel buio più completo, Carola aprì i grandi occhi blu in un ambiente mai visto prima.
Una luce dorata e calda illuminava le immense volte della grotta, le colonne altissime, decorate con capitelli e le immense lastre del pavimento. Nell'aria c'era un profumo gradevole, così intenso da poterlo assaporare, tanto che Plume si leccava i baffi come se avesse l'acquolina in bocca. Quell'odorino ricordò a Carola i pranzi domenicali, la tavola imbandita e... qualcosa che proprio non riesciuva a delineare. La maestosità e il silenzio di quel luogo lasciò i due compagni di gioco a bocca aperta... Con un po' di esitazione, Carola e Plume mossero qualche passo, cominciando a sbirciare qua e là, senza capire dove potessero trovarsi. Tutto risplendeva di un giallo dorato, ma la luce non proveniva da nessuna fonte luminosa. Non c'erano candele, nè lampadari o torce, era come se filtrasse dalle pareti, anch'esse molto strane perché più simili a spugne che a muri in pietra o in cemento. Dopo molto vagare fra le colonne dell'immenso salone, Carola si rendette conto di non avere più al suo fianco l'amico fedele:
- Plume! Plume! Ma dove ti sei cacciato? Plume! Uffi, si mette sempre nei guai e io resto sola... in questo posto tutto giallo, senza nemmeno sapere dove possa essere finita... Plume, dove sei Plume?!
In fondo al colonnato, sulla parete opposta all'ingresso del salone, Carola intravide la coda del suo cagnilino infilarsi in un piccolo portone, o meglio, sembrava lo sportello di un forno più che un portone...
Carola cominciò a correre per seguire Plume e quando superò lo stesso sportello, si trovò in un'altra sala immensa, in cui al centro il pavimento... bolliva! Un piccolo camminamento permetteva di fare il giro della sala circolare, ma al suo centro il materiale spugnoso di cui era fatta tutta la grotta ribolliva piano piano, rilasciando grandi nuovole di vapore caldo. Il profumo che avevano sentito nella sala con le grandi colonne, qui era fortissimo e accese il ricordo mancante di Carola: la polenta! Tutta la grotta era rivestita di morbida e calda polenta gialla! Plume, con il suo olfatto da segugio, aveva già approfittato e comodamente seduto lungo il bordo della sala circolare, aspettava soddisfatto che il ribollire della polenta ne facesse strabordare un poco, per mangiarsela in un sol boccone! Mentre Carola prendeva posto accanto a Plume, intravide qualcosa di colore scuro emergere dalla polenta. Solo quando una di queste creature si arrampicò sul bordo del grande paiolo, Carola si rese conto che si trattava di piccoli funghetti in grado, non solo di muoversi, ma persino di parlare!
- Buongiorno cari amici, benvenuti nel Monte Polenta, un resort vacanze per personcine ben selezionate! - disse il funghetto con tono altezzoso.
Carola, ancora incredula, rispose gentilmente al funghetto con un saluto cordiale e Plume gli diede una bella leccatina di benvenuto.
- Sarete miei ospiti ogni volta che lo desidererete: potrete fare rilassanti bagni di vapore qui nel Paiolo turco, oppure farvi una nuotata nella Pirofila esterna, in cui la polenta raggiunge una temperatura molto gradevole, adatta al nuoto e agli sport acquatici, sapete ci sono anche dei corsi di polenta-gym! Ma ora seguitemi, vorrei mostrarvi le vostre stanze - il funghetto s'incaminnò verso una scaletta, che li condusse nella hall di quello che sembrava un vero hotel di lusso. Prese una grande forchetta e proseguì su un'altra rampa di scale.
- Eccoci, questa è la vostra suite, per aprire la porta, inserite la forchetta nella serratura e mangiatevela! Sono certo che il vostro soggiorno, presso il nostro resort, sarà delizioso! - così dicendo scomparve in una parete che lo sommerse. Carola e Plume non se lo fecero ripetere e mangiata la serratura, aprirono la porta della loro meravigliosa camera: un lettone gigante rotondo si trovava al centro e davanti a una finestra immensa, c'era una ciotola idromassaggio! Giocattoli, ossa per Plume, nutella da spalmare su tutta la stanza per poi gustarsela comodamente sdraiati sulle sedie del terrazzo, c'era tutto quello che avrebbero potuto desiderare! Se qualcosa fosse mancato, puntando un timer come quello del forno della mamma, era possibile chiamare il servizio in camera.
Dopo essersi pappati gran parte della loro stanza, che ovviamente si rigenerava al'istante di nuova e morbida polenta al formaggio o con l'arrosto, Carola uscì sul grande terrazzo e vide mamma, papà e i nonni seduti sulla panchina. Ma non si erano accorti che lei e Plume non erano più lì? Tanto meglio, avrebbe potuto godersi il suo soggiorno al Monte Polenta Resort! Proprio in quel momento, il funghetto bussò alla porta della suite e annunciò che sarebbe stato grato di avere Carola e Plume alla cena di gala, organizzata quella sera. Sembrava un'idea fantastica! Così, dopo un pomeriggio rilassante, i due amici si presentarono puntualissimi nella hall dell'hotel, in attesa di sapere dove si sarebbe tenuta la grande cena. Il funghetto non mancò l'appuntamento e li guidò fino al Vassoio di Gala, il ristorante dell'hotel. La cena fu splendida, soprattutto perchè superò le aspettative di Carola, convinta di continuare a mangiare polenta per tutta la sua permanenza al monte. Invece, la tavola era imbandita di ogni leccornia: pasta, risotti, insalate, verdurine al vapore, pesce e dolci! Anche se tutto sembrava fatto di polenta, il sapore e la consistenza dei cibi era la stessa del mondo reale. Dopo la cena, il funghetto che li aveva accompagnati e assistiti durante tutta la giornata, si alzò e richiamò l'attenzione di tutti i presenti:
- Buonasera a tutti e grazie per essere qui questa sera. E' con onore che consegno questo riconoscimento ai nostri ospiti di oggi, Carola e il suo fidato Plume. Sempre meno spesso osserviamo un rapporto così meraviglioso fra una creatura umana e un rappresentante della natura e quindi con vero piacere consegnare la Ciotola D'oro ai due amici! Prego, venite!
Carola era rossa dall'imbarazzo, ma Plume spinse il suo naso umido nella mano della bambina, che si convinse e si avvicinò al funghetto per ritirare il suo premio. Il funghetto spiegò che la Ciotola era un regalo molto prezioso, in grado di trasportare i due amici in luoghi meravigliosi, proprio come il Monte Polenta, senza che nessuno dei grandi potesse accorgersi della loro mancanza. Ogni volta che Carola avesse servito un po' di polenta al piccolo Plume, la Ciotola si sarebbe attivata per far viaggiare i due amici. Carola ne era entusiasta e Plume ancor di più: la Ciotola sarebbe stato un ulteriore modo di mangiucchiare qualche spuntino extra :) Ringraziando mille e più volte tutti i presenti, Carola e quel mangione di Plume si ritirarono nella loro magnifica suite e forse per il pasto troppo abbondante o per tutti quei trattamenti rilassanti, ceddero in un dolce sonno ristoratore.
Quando Carola si svegliò, si trovava sul divano a casa dai nonni e Plume non era con lei. Al primo istante, ne restò delusa, convinta che tutta l'avventura di quel pomeriggio fosse solo un lungo sogno. Poi, quando si sedette a tavola per la cena, capì che si sbagliava. Il nonno la chiamò dal salotto per accompagnarla a lavare le mani e le diede un piccolo pacchetto giallo:
- Questo è un pensierino, l'ho vista ieri al negozio e ho pensato a te e a Plume - disse il nonno con un bel sorriso, grazie alla sua nuova dentiera fiammante.
Scartato il pacchettino, Carola trovò una bella ciotola gialla, con un aereo disegnato dentro, proprio uguale a quella ricevuta in dono alla serata di gala...

17.3.11

Buon compleanno...

La notte e il suo manto nero erano scesi già da qualche ora sulla città. I palazzi imponenti se ne stavano al loro posto, fissando dall'alto le strade, le piazze e i vagabondi in cerca di riparo dal gelo di fine inverno. Una pioggerella fitta e sottile batteva sui tetti delle case, tintinnava sui vetri delle finestre e faceva luccicare l'asfalto dei viali. La luna e le sue stelle, quella notte, se ne erano andate altrove, su e ancora più su, sopra le nuvole scure. Qualche colombo si rintanava sui cornicioni, speluccando le briciole di Piazza Duomo, controllando guardinghi i propri compagni. Nessun rumore, solo qualche risata in lontananza, forse da Brera e dai suoi caffè e i cartomanti misteriosi. La notte.
Beppe dorme nella sua stanza. Le persiane sono socchiuse e tracciano linee oblique sul parquet di rovere chiaro. I giocattoli riposano nei grandi contenitori in plastica trasparente dell'Ikea, con i loro occhi neri sbarrati sul mondo. Ad un tratto un colpo di vento muove la persiana e la luce del lampione raggiunge il viso addormentato di Beppe. Un sussulto e il bimbo si sveglia impaurito, restando seduto nel buio. Stroppicciando gli occhietti verdi, sbadiglia ancora assonnato e abituando gli occhi al nero della notte, comincia a scorgere qualcosa attorno a lui. Sotto ai suoi piedini avvolti dalle babucce della Disney, sente un freddo insolito, pungente e intenso. Davanti a lui, un grande tubo colorato si infila nel pavimento e... risbuca sotto di lui. Senza ancora capire, Beppe è a cavalcioni sopra il grande filo metallico, che tumultuoso si libera del suo grande ago e comincia a correre nell'aria fredda e umida della notte. Incredulo e muto, Beppe non sa che fare. Il filo si alza e corre sempre più veloce: attraversa tutto il parco e gira attorno alla Torre, sopra il Castello fino al Teatro. Sopra la piazza, dove si ferma e Beppe saluta il grande Maestro, che... risponde al saluto inclinando il capo. Gli occhi di Beppe sono sgranati sulla statua, ma ecco che il filo riprende vita e corre ancora sopra la città. Il Duomo, le guglie, la piccola Madonnina e via nel vento. E' troppo veloce e gli occhi di Beppe si stringono in una piccola lacrima, che con un rintocco cade sopra il grande cimitero addormentato. Beppe sente un po' di calore, riapre i suoi occhi e vede un grande pegaso, immobile davanti a lui. Beppe guarda in basso e vede la grande piazza del Duca, con spavento abbraccia il pegaso, che strizzando uno dei suoi occhi freddi, prende il volo, sfrecciando all'interno della grande stazione. Dentro tutto tace, ma d'improvviso si alza il canto tricolore di un uomo con le guance arrossate da un buon vinello. Beppe sorride e canticchia senza voce il canto maestoso, imparato a scuola per Storia. Il pegaso scompare e il bimbo si trova seduto sopra una delle immense porte della stazione. Da lontano un grande trambusto, arrivano i treni? Dai binari si scorge qualcosa con i primi spiragli di sole. Nel chiarore di un'alba fragile e gelata, uno stuoio di mille suonatori intonano il grande inno, che da un eco lontano si fa un rombo sicuro, tonante e preciso. La stazione si riempie di note, colori e bandiere. Beppe vede tutta la scuola, la gente, i compagni e pendolari. Tutti cantano in coro e chiudono gli occhi in un sogno, che oggi si chiama Italia...