“Sapeva che sarebbe stato sufficiente aprire gli occhi per tornare alla sbiadita realtà senza fantasia degli adulti.”
- Lewis Carrol -
Dopo questa esternazione, non ho potuto fare a meno di chiedermi se io ci andrei sul Nangiaparpad e, ovviamente, la prima spontanea risposta sarebbe sicuramente sì. In realtà, però, io non ci posso andare su quella montagna, perché non ho la preparazione per farlo. Sarebbe come se, vedendo un intervento a cuore aperto andato a buon fine, decidessi di volerlo ripetere. Non sono un cardio-chirurgo e tanto meno un alpinista. Tuttavia, ho pensato che la stessa sospesa sensazione di avventura, l’ho provata tante volte nelle mie piccole ascese e in diversi casi è successo a pochi passi da casa, in luoghi che nemmeno pensavo esistessero. Come quando l’Ettore ci ha portati in Val Pagana a vedere quella frana paleolitica di dolomia, i fossili di bivalvi e, con gli occhi sgranati come quelli dei cinquenni, ci siamo messi a immaginare che cosa potesse succedere tanto tempo fa in quello stesso bosco incantato. Un mondo perduto in un tempo passato si presentava davanti ai nostri sguardi sorpresi, conducendoci a perlustrare, guardare, toccare i muschi, le cortecce umide degli alberi, le fessure profonde della roccia nuda e fredda, odorando i profumi di bosco, terra e cielo.
Guardando la stracciatella che colava su quel bambino sognatore, ho pensato che il mio vagabondare preferito accade quando succede qualcosa che proprio non posso prevedere e non importa il dove. Quando ad esempio, invece di tirare dritta per completare le ripetute, guardando in giro mi accorgo di un sentiero mai visto prima e decido di percorrerlo, anche se la traccia è esile e sconosciuta. Quando mi alzo presto la mattina, per correre prima di andare al lavoro e gustare con una luce diversa i sentieri conosciuti da sempre. Quando decido di vivere d’adventura, cioè semplicemente di ciò che accadrà.