Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

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17.3.14

I sogni di Agostino - La mamma e il lanciatore di coltelli

In un paesino disperso fra le dolci colline toscane, abitava Agostino, un bambino di 8 anni vivace e con due grandi occhi verdi che spiccavano sul suo incarnato bruno e olivastro. Il suo papà lavorava come sagrestano nella Parrocchiale del paesino e si occupava anche delle altre 6 chiese, delle 15 cappelline e delle stazioni decorate delle due vie-crucis che il comune di nemmeno 1000 anime vantava. Ovviamente c'era poi il santuario. La mamma di Agostino, invece, era partita già da qualche anno per inseguire il suo sogno: diventare la donna del lanciatore di coltelli, per provare quell'ebrezza adrenalinica che solo la paura può garantire. Le chiacchiere in paese raccontavano altro, ma questa è un'altra storia. Dopo la partenza di Ortensia, questo era il nome della mamma, il papà di Agostino dovette rinunciare al suo sogno e cercare di guadagnarsi da vivere per permettere a lui e al bambino di avere un'esistenza dignitosa. Questo però non era sufficiente per quell'omino laborioso e instancabile, perché in cuor suo restava un desiderio grande: far studiare il suo figliolo e garantirgli un avvenire roseo e di successo, quello che lui non aveva potuto nemmeno rincorrere. La Ortensia gli rubò il cuore quando ancora erano due ragazzini e l'annuncio dell'arrivo di Agostino affrettò i preparativi delle nozze di quei due bambinetti o poco più. Gia' allora la sua attività di pittore passò in secondo piano, perché era necessario un lavoro più redditizio per mantenere la nuova famigliola e così il babbo iniziò a lavorare nella fabbrica di guanti di pelle giù in città. Ogni mattina se ne partiva con la sua bicicletta un po' scassata, con lo zaino in spalla, dove custodiva il suo pranzo e uno dei suoi quaderni per fissare uno dei fiori del cortile, un passero attratto dalle briciole del suo panino o qualsiasi altra scena che colpendo il suo sguardo, avesse potuto tracciare a colpi di carboncino. Il lavoro era pesante, ma non si lamentava mai e quando tornava a casa, aveva sempre un sorriso per la sua Ortensia e energie per i giochi con il suo Agostino. Quando lei se ne andò, la casa e il bambino necessitavano la sua presenza e il lavoro in città lo teneva via troppo tempo. Così, liberatosi il posto di sagrestano, lo accettò con umiltà e riconoscenza. Le sue mansioni erano le più svariate: spazzare, lustrare, raccogliere le offerte, allestire la chiesa a festa, disallestire la chiesa, parare a lutto, portar fiori e ciotole da una cappella all'altra, contar particole, suonar le campane, riporre i lumini, cantare alla Messa ecc... C'era sempre da fare, ma ogni tanto, nella tranquillità delle prime ore della mattina, quando ancora la notte non se n'era andata del tutto, c'era una cosa che il sagrestano amava del suo lavoro. A quell'ora, quando fuori ancora era buio, si concedeva un piccolo lusso che il prevosto non avrebbe mai approvato: sgattaiolando in sagrestia, dal pannello elettrico accendeva le sole luci che illuminavano le grandi pale d'altare, solo quelle, lasciando nel buio completo il resto della Parrocchiale. Tornando in chiesa lo spettacolo era maestoso: le grandi e imponenti tavole dei maestri del '400 risplendevano sotto la luce che ne valorizzava la perfezione e l'uso sapiente del colore. Che delizia per gli occhi di quel povero pittore mancato! Grandi opere tutte per lui. Ogni tanto, quando il parroco era via per qualche pellegrinaggio o in città per le visite in Curia, anche Agostino era invitato a quello spettacolo privato. Lo andava a svegliare da quel suo sonno sereno, quello che solo i bambini possono dormire, per poi caricarselo sulle spalle ancora mezzo addormentato e portalo in chiesa, dove gli svelava i segreti della prospettiva, delle sfumature o i significati delle allegorie. Agostino non ci capiva un granché e non capiva come mai si dovesse andare tanto presto a vedere quelle pitture che se ne stavano tutto il giorno appese al loro posto, senza muovere un passo.