Scrivere è sempre nascondere qualcosa, in modo che poi venga scoperto.

- Italo Calvino -

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10.9.11

L'hotel - 4. L'ascensore

Foto scattata dal cellulare di Chicca
Il vecchio e immenso lampadario sembrava un ossuto ragno gigante. Le luci che un tempo rendevano quella sala così accogliente erano state tolte e poste chissà dove. Regnava un silenzio di polvere e umidità. Una bellezza decadente traspariva da quello strato di tempo, che ricopriva tutto. I pavimenti scricchiolavano ad ogni passo e facendo luce, i ragazzi notarono un elaborato rivestimento in legno, che creava una decorazione nel salone e lungo tutto il buio corridoio che portava all'ala est. Alcune sedie erano state abbandonate qua e là e una serie di porte a vetro smerigliato nascondevano altri rifiuti della storia. Nessuno dei ragazzi si azzardò ad aprirne una. Solo camminando nell'oscurità dell'hotel, cominciarono a rendersi conto di quello che stavano facendo. E poi... per cosa? Per cercare cosa? Mila sentiva di trovarsi nel posto giusto, ma capiva che gli amici cominciavano a trovare quell'avventura un po' inutile; decise di non dire nulla era convinta ad andare avanti per capire, vedere qualcosa... o... qualcuno che ricomponesse i pezzi del puzzle: la donna al mercato, la nonna così nervosa nei pressi dell'hotel, la storia di Maria.
Stavano avanzando lentamente, quando allo scricchiolio dell'antico parquet si aggiunse un nuovo rumore, uno scartocciare insistente. Non ci volle molto per capire che si trattava di Balù, alle prese con un sacchetto di carta, con cui aveva accuratamente confezionato un bel panozzo al salame e Taleggio! Addentando con voracità il filoncino, sbofonchiò a bocca piena che era il suo abituale spuntino notturno, chissà la colazione! Chicca, che dopo lo sgranocchiare di Balù sentì un languorino allo stomaco, offrì qualche cioccolatino che aveva preparato per eventuali crisi di fame improvvise. Dopo essere rincuorati dai dolcetti, ripresero a cercare, puntando le torce davanti a loro, sempre basse lungo il pavimento, quasi non volessero vedere qualcosa più in alto... 
Finalmente, giunsero in un'ampia sala, grandi finestre si ergevano su un lato e alcuni vecchi e pesanti tappeti erano ammassati sul fondo. La sala da ballo. In quella notte lontana, la festa era stata celebrata proprio nella stessa stanza. Mila immaginò l'atmosfera che doveva aleggiare fra quelle pareti: eleganti dame, decorate da abiti di tessuti finissimi dai colori sgargianti, ricchi gioielli ai lobi, sulle dita sottili e sui decolletè candidi. Galantuomini dai colletti inamidati, con bastoni di mogano, arricchiti da pietre dure, avorio, intarsi finissimi. Musica raffinata e leccornie servite su massicci vassoi in argento. Tutto doveva apparire bello e composto, un'immagine ben diversa da ciò che si intravedeva. In fondo alla sala, si apriva un varco che portava nel corridoio parallelo a quello che il gruppetto aveva appena percorso e lì, i ragazzi trovarono una porta che si apriva sul vano scala e sull'ascensore. L'avevano trovato. Un po' intimoriti, si avvicinarono alla macchina e Jules aprì le porte in legno. L'ascensore era attivo, le luci si accensero subito dopo l'apertura degli sportelli. Il gruppetto arretrò spaventato da quel bagliore improvviso nel buio, interrotto dai solo fasci di luce bianca delle torce. L'interno era molto piccolo rispetto agli ascensori moderni e rivestito di una tappezzeria bordeaux damascata. Sul lato di fronte alla porta era appeso uno specchio ovale, in cui si riflettevano le facce sbiancate dei quattro amici. Mila fece per entrare, quando Jules la bloccò, chiedendole se si fosse ammattita, ma la ragazzina si divincolò dalla presa ed entrò nella cabina, seguita da Chicca, curiosa quanto lei. In quattro non avrebbero mai potuto montare sull'ascensore, quindi Mila pigiò uno dei tasti e richiuse le porte. Un rumore di ferraglia inondò l'abitacolo, che cominciò a salire. Dal pianerottolo, i due ragazzi osservavano al di sopra della porta, per capire dove si sarebbero fermate le due amiche. Al terzo. I due schizzarono su per le scale, correndo più veloci di quanto si aspettassero e ritrovarono le due ragazzine, mentre lasciavano quell'aggeggio infernale. Mila si diresse verso il corridoio: un lungo cunicolo scuro, dove si srotolava un lungo tappeto rosso scuro. Cercò di aprire una delle porte sul lato sinitro, in modo da ritrovarsi sul davanti dell'hotel, ma era chiusa. Chicca estrasse dalla sua borsetta firmata una piccola forcina per capelli e in qualche secondo forzò la serratura, allibita quanto i suoi compagni d'avventura, dalla sua stessa abilità. La camera era ampia, lo scheletro di un letto e un minuscolo comodino, un guardaroba e un appendiabiti. Dalla finestra filtrava la luce dei lampioni del parco. Affacciandosi alla finestra, Mila comprese di non essere all'ultimo piano. Aveva osservato molte volte quella facciata e aveva contato che i piani erano quattro più il solaio, che da qualche mese veniva illuminato dall'amministrazione comunale, per dare risalto al restauro delle facciate. Eppure nell'ascensore c'erano soltanto tre bottoni, oltre allo zero. Seguita da Chicca e i ragazzi, Mila tornò nel corridoio e quindi nel vano scala, aprì le porte dell'ascensore e cominciò a osservare il pannello per attivare la corsa su e giu per i piani. In effetti, c'era una sorta di serratura, che probibilmente attivava i piani mezzanini. Non avendo nulla a disposizione, continuarono a salire lungo la rampa di scale, ma giunsero al solaio, senza trovare nessuna piano di mezzo, nonostante la rampa in più. Dovevano attivare l'ascensore, in qualche modo. Provarono con la forcina, niente. Erano a un punto morto e di certo non sarebbero riusciti a organizzarsi per un'altra incursione. Mentre sedevano sui gradini delle fredde scale di servizio, un rumore meccanico li fece sussultare. L'ascensore si era attivato. Osservando l'indicatore dei piani, con il fiato sospeso, notarono che si posizionò su un simbolo floreale, doveva essere il mezzanino che cercava Mila e c'era qualcuno. E quel qualcuno stava scendendo, probabilmente al pian terreno. Mila si catapultò giu per le scale e gli altri, ancora increduli rispetto a ciò che stava accadendo si gettarono dietro di lei. Arrivati a piano terra, l'ascensore stava ancora scendendo, spensero le torce e aspettarono, forse avrebbero visto, senza essere visti. L'indicatore scattò. Era al piano terra. Il respiro dei ragazzi si fece pesante, rumoroso, come se si sentisse a distanza di metri. L'adrenalina si faceva sentire. Le porte si aprirono davanti a loro e Mila si irrigidì davanti a quella visione. Era lei, ne era certa. L'abito lungo, inadeguato e fuori moda, era la stessa donna vista tra la folla al mercato. Senza potersi controlallare le si rivolse, gridando chi fosse. La donna indietreggiò spaventata e puntò una piccola torcia sui volti ancor più terrorizzati dei ragazzi. Solo allora, tutti compresero che su quel pianerottolo non c'era nessuna creatura ultraterrena, ma solo cinque esseri umani spaventati e sbigottiti dalla situazione. La donna osservò tutti i volti e scrutando quello di Mila,scoppiò in un inspiegabile pianto. Nessuno seppe come gestire quella reazione, finchè la stessa Mila le si avvicinò e le sorrise. Incoraggiata da quel gesto di affetto, singhiozzò qualche parola incomprensibile, indicando il corridoio verso cui si diresse seguita dai ragazzi. Si muoveva con lentezza, ma sicura e li condusse fino a una piccola cucina, sulla cui porta era ancora possibile leggere "Riservato al personale". Invitò i suoi ospiti a prendere posto attorno alla tavola, al centro della cucina. La stufa economica era accesa e rendeva l'ambiente sicuro e naturale. In silenzio, la donna prese da un armadietto delle tazze in porcellana bianca, con decori dorati. Mise un bollitore sulla piastra della stufa, preparò i piattini, il bricco del latte ed estrasse da una scatola di latta dei biscotti, che ripose con cura su un grande piatto coordinato al servizio da tea. Allo sbuffo del bollitore, versò l'acqua nella teiera e con un vassoio portò il tutto in tavola, dove prese posto.
- Dovrei chiedervi che cosa facciate qui, a quest'ora. Ma vorrei invece raccontarvi quello che suppongo vogliate capire.
Nessuno rispose e la vecchia signora prese a raccontare quasi mezzo secolo di vite, storie e disgrazie. Tutto sembrò improvvisamente più limpido e chiaro. La verità era stata liberata da anni di silenzi e i ricordi, riaffiorati lentamente nella mente della vecchia signora, erano stati condivisi con quattro ragazzi curiosi e legati a quelle vicende. Flò era la bellissima moglie inglese del sig. Salaroli, il proprietario dell'hotel, morto di crepacuore dopo la scomparsa dell'amatissima figlia Maria. Quella tragedia aveva gettato tutti nel panico, nella paura e nella colpa, rovinando e rompendo legami di amicizia, affetto e rispetto. La donna non sopportò il duplice lutto e tornò nella sua patria natale senza alcuna cerimonia di saluto o di addio, togliendo per sempre il saluto allo stanco e già pieno di sensi di colpa, sig. Putti. In certi casi non si può ragionare con freddezza e i sentimenti di rabbia e di dolore hanno la meglio sulla ragione, così Flò fece del sig. Putti il capro espiatorio di tutta quella tremenda faccenda. L'uomo si fece ancora più cupo e si ritirò fino alla sua fine nelle mura dell'hotel, dando adito a leggende di fantasmi e stranezze. Ad aggravare tale situazione, fu anche la travolgente passione che coinvolse i due, ovviamente segreto condiviso solo con pochi intimi.Quando anche il sig. Putti lasciò la sua vita terrena, Flò rientrò in Italia, ma troppo tardi per potersi chiarire con il vecchio e fidato custode, perciò prese il suo posto all'hotel conducendo un'esistenza schiva, solitaria e sterile, avendo ormai perso le amicizie di un tempo. La donna era infatti molto legata alla famiglia di Putti, i signori Riccotri e ai nonni di Mila, ma dopo il trambusto dell'ascensore le accuse e le calunnie spezzarono i bei rapporti che avevano tanto riempito i vecchi e felici pomeriggi d'estate di un tempo. Nonostante gli anni trascorsi, Flò riconobbe subito nei volti delle due ragazze, le amiche di una volta, soprattutto Antonia, la nonna di Mila. Le due donne diventarono grandi amiche dopo le trattative di vendita della casa, dove ancora oggi abitava la nonna di Mila. La perdita di Maria, però, seminò il dubbio nella mente di Flò che accusò Piero, responsabile dei lavori di manutenzione, e appunto il sig. Putti di essere la causa del dramma. Antonia non le perdonò tale risentimento e non volle più incontrare la donna, tanto che sentì la sua partenza per Londra come un sollievo. Una lite, l'orgoglio covato negli anni e alimentato dal silenzio... tutto il resto era solo suggestione, Mila sorrise, sorseggiando il suo tea, così piacevolmente caldo e rigenerante.
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L'indomani, un sole pieno e finalmente estivo risvegliò la piccola comunità del paese. I ragazzi si ritrovarono nell'appartamento di Jules senza nemmeno sapere come ci fossero ritornati. Quell'estate i quattro ragazzi trascorsero un sacco di tempo insieme, affrontando nuove avventure anche se nessuna fu paragonabile a quella notte fredda di Giugno. Mila insistè tanto finchè ottenne che la nonna ricevesse Flò a casa e dopo una lunga chiacchierata, le due donne si riscoprirono amiche e solidali l'una verso l'altra. Il velo fosco che era rimasto sulla donna inglese scomparve, lasciando spazio a una bellezza che, seppur matura, era ancora fiera e piena di fascino. Mila e Chicca si promisero di non litigare mai e scrissero nei loro diari i segreti di un'estate indimenticabile.

1 commento:

Michelle Wan ha detto...

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